Afghanistan missione fallita

“Missione fallita” di Gastone Breccia (ed. Il Mulino, 2020) è un libro da leggere ora, nel bel mezzo della nuova tappa della questione afgana. Nel 1978 –scrive l’autore-  la presa del potere da parte degli “studenti coranici” fu inizialmente un vantaggio, perché il disordine della guerra civile non era più tollerabile, o comunque meno rispetto alla applicazione della Sharia secondo i seguaci del mullah Omar. In fondo era un prezzo ragionevole la rinuncia alla musica, o la imposizione delle barbe lunghe o i tanti limiti alle donne: infatti in due anni i talebani riuscirono a conquistare il controllo di oltre i tre quarti del paese.

La ricostruzione del paese è la storia di un fallimento durato un ventennio. La comunità internazionale ha investito una enorme quantità di denaro per ottenere un limitato miglioramento e buona parte di quella somma è finita nelle tasche sbagliate di politici spregiudicati. E poi le forze ISAF hanno fallito anche perché non hanno garantito il controllo del territorio in modo capillare ed efficace.

Il governo di Karzai, infine, è diventato noto per un altissimo livello di corruzione. È in questo contesto che i talebani sono ritornati vincitori.

Friba Rezayee vive in Canada, ma è stata la prima afgana alle Olimpiadi del 2004. Intervistata dal quotidiano La Stampa (14.9) esprime un parere non proprio favorevole agli Stati Uniti rispondendo alla domanda: “Gli americani avrebbero dovuto restare per sempre?” “no –risponde- avrebbero dovuto usare questi anni diversamente. Perché invece di buttare milioni in eserciti finti non hanno investito sulle donne e sugli uomini che oggi manifestano per strada? “

Lei è una di quelle che ha pagato la presenza nell’area pubblica, nello sport, ad Atene per le Olimpiadi. Come? “Portavo i capelli corti, a capo scoperto, ero sia l’esempio che la vergogna. Al ritorno, all’aeroporto, mi aspettavano gruppi di ragazze con i cartelloni “Voglio essere come te”, sembravano cheerleader. A casa mi aspettava la sassaiola. Altre minacce, insulti e contemporaneamente applausi ovunque andassi. Ero visibile e dunque pericolosa.”

L’Afghanistan è un paese poverissimo, diviso per etnie tribali, ad alto tasso di cultura patriarcale sulla quale si innesta l’Islam letteralista dei talebani in nome della Sharia, la legge statale ispirata al Corano e agli Hadith. La prima vistosa conseguenza? Donne a casa a fare figli, a scuola solo i maschi con insegnanti dello stesso sesso. E, di nuovo, no alla musica.

È stato istituito anche un nuovo ministero, a imitazione dell’Iran dei mullah, “per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio”.

Adam Baczko, ricercatore del CERI di SciencesPo (La Stampa, 3.9.2021), spiega:” Gli afgani si sono lasciati andare, hanno collaborato con gli stranieri, li hanno imitati: questo ai loro occhi è stato il problema principale. Ed è la ragione per cui la condizione delle donne registrerà un’inevitabile regressione, soprattutto nelle città. I talebani delegano al capofamiglia la gestione delle famiglie, dove gli uomini saranno liberi di essere violenti con mogli, figlie e madri. E dove le vittime di stupri saranno considerate responsabili di quelle violenze.”

Le ragazze, le donne delle città che hanno usufruito delle possibilità di comportarsi come in occidente, sono in fuga. Donne da minigonna, scrivono sui social in Italia tante musulmane e musulmani, donne che non vogliono fare figli, egoiste e prive di valori. Una difesa dei talebani che suona un po’ a favore della geopolitica di Erdogan e un po’, al solito, come occasione per criticare l’occidente individualista, ateo, laicista. La Umma emigrata fa buon buon viso a cattiva sorte: si lamenta ma si adatta alla società “laicista” in attesa di diventare maggioritaria, o per chiedere, o imporre, la Sharia. Intanto, in alcuni stati europei i musulmani creano quartieri blindati e chiedono tribunali amministrativi separati della Sharia per divorzi, eredità e altri problemi.

Scrive Donatella Amina Salina, italiana, convertita ed esponente dei musulmani che fanno a capo a La Luce, giornale online “contro l’islamofobia” e filo Erdogan: lasciano l’Afghanistan le donne “che sognavano la minigonna –ma- che si ritroveranno in chador o in un villaggio tagico, così finalmente si metteranno in testa che qui non c’è il paradiso in terra”.

Per essere più precisi: “Il valore delle donne sta nel custodire la casa e nell’educare islamicamente i figli. Poi possono dare il loro contributo alla società e lo fanno da 1400 anni. Centinaia di donne musulmane hanno insegnato a donne e uomini la fede musulmana superando anche i colleghi maschi.

Ma i figli li educa la donna è lei che trasmette i valori”.

I talebani impongono alle donne di uscire accompagnate da un maschio parente? “La misura è giustificata dal fatto che le strade sono assolutamente insicure. Qui in Europa ed in alcuni paesi asiatici o negli Usa le donne musulmane viaggiano senza mahram e studiano nelle Università fuori sede. Ma ci sono Paesi dove si rischia quotidianamente di essere stuprate rapite o vendute. Cosi era ai tempi del Profeta e fino ad oggi.”

Un’altra – sempre su Fb-  se la prende con la Francia dove tante sono le ragazzine incinta ogni anno: si interessano – in Europa- delle misure prese dai talebani invece di queste situazioni in casa loro, come i numerosi femminicidi in Italia.

Alle frontiere europee premono gli afgani in fuga per entrare? Il cancelliere austriaco Kurz (La Stampa, 14.9) giustifica il no intransigente a causa del livello troppo basso di istruzione e per le divergenze nei valori fondamentali: “più della metà dei giovani afgani che già vive in Austria, per esempio, appoggia la violenza nel caso in cui la propria religione venga oltraggiata”.

Ovviamente, invece di un rifiuto tassativo, l’Austria, come altri paesi, dovrebbe porsi il problema di come integrare i migranti, con quali progetti e rispetto ai diritti e ai doveri.

Quando in giugno venne arrestata -appena giunta in Marocco- l’italo marocchina Ikram Nazih con l’accusa di aver offeso l’Islam sui social, un noto esponente musulmano italiano propose il suo pentimento pubblico per ottenerne la liberazione. È dunque giusto il reato di blasfemia, ma è necessario dimostrarsi clementi da parte dello stato quando c’è il pentimento.

Karima Moual (La Stampa 25.8) ha scritto un articolo in vista dell’arrivo massiccio di afgani in Europa, perché l’accoglienza è una sfida da raccogliere, accettando che l’inclusione sociale è un problema reale, come ci ha già dimostrato l’esperienza.

Deve essere chiarito il significato delle libertà, compresa quella di espressione. Va spiegato “il ruolo e il posto che ha la fede rispetto alle leggi nel nostro Stato” e, ovviamente il ruolo e il posto delle donne nella nostra società, “che non può essere subalterno in nulla, in nome del rispetto di altre culture”. Insomma, “bisogna dotarsi degli strumenti adeguati per inserirli, integrarli, al fine di dargli quelle opportunità di emanciparsi come individui e cittadini a pieno titolo nella nostra società. Perché la sfida per tutti noi, sarà poi la convivenza: buona o cattiva non potrà essere liquidata come colpa loro ma solo il risultato di quanto avremmo noi costruito per un’accoglienza che dovrà affrontare anche l’aspetto culturale, dei diritti e dei doveri della cittadinanza. Siamo pronti? Il nostro archivio storico non è rassicurante, perché ancora privo di un patto di cittadinanza chiaro e fruibile per chiunque arrivi.”

E già, ci limitiamo a dividerci tra accoglienza tout court e opposizione malevola, in una continua semplificazione superficiale dei problemi geopolitici, culturali e religiosi collegati alle grandi emigrazioni in atto.

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