Il rapimento di Eitan e le religioni possessive

Il piccolo Eitan, rapito in Italia dal nonno e portato in Israele, rappresenta un eloquente esempio di come l’istruzione possa rappresentare un campo di battaglia per le religioni. Era stato, dai suoi parenti italiani, iscritto alla prima classe elementare in un istituto di suore; dove aveva già frequentato la scuola dell’infanzia. Chi l’ha rapito voleva invece -questo appare, il movente principale- l’iscrizione ad una scuola ebraica.

Un tale rapimento può essere evidentemente considerato, da vari punti di vista e fa venire alla mente un altro rapimento. Commesso in Italia alcuni decenni fa, dallo Stato israeliano, ai danni del fisico israeliano Vanunu; il quale aveva fatto rivelazioni sull’arsenale nucleare del proprio paese (e la reazione italiana era stata pressoché nulla).

Il discorso, che più ci interessa, però è naturalmente quello in chiave di laicità: e ci porta a rilevare come la scuola pubblica e laica appaia -in controluce- valorizzata. Le due famiglie in conflitto fra loro non sembrano aver cioè considerato, quale terreno neutro di incontro, l’iscrizione ad una scuola pubblica e dunque un’istruzione non di orientamento predeterminato; ma che offra l’opportunità per maturarlo e deciderlo, un orientamento. Parlerei per una famiglia come per l’altra, di religione possessiva: che cioè perfino in presenza di un forte contrasto porta a vedere l’istruzione, come una propria proiezione (anche se la famiglia italiana poteva addurre l’opportunità di, quanto meno, una permanenza nello stesso istituto per un bambino dalla sorte posto di fronte a drammatiche novità, nei mesi precedenti).

Giacché poi, si sta parlando di Italia e di Israele, rileverei che negli ultimi decenni lo spazio per religioni possessive si è, in Italia, complessivamente ristretto: anche con la recente sentenza della Corte di Cassazione che ha -proprio in campo scolastico- ritenuto non obbligatoria l’esposizione del crocifisso, nella scuola pubblica. Mentre qualche lustro fa a chi contestava tale obbligatorietà non restava che adire la Corte di Strasburgo: giacché la relativa norma, la Corte Costituzionale la riteneva senza forza di legge e quindi, non di propria competenza; mentre il Consiglio di Stato la riteneva di portata non confessionale, ma universale.

Lo spazio, per religioni possessive, si è invece complessivamente allargato in Israele. Soprattutto con la recente legge fondamentale dal titolo (che la compendia), “Israele quale Stato nazionale del popolo ebraico”. Conviene precisare che Israele alla sua nascita non si è dato -soprattutto per non affrontare il nodo del rapporto, col culto ebraico- una Costituzione scritta: ed ha poi ritenuto di compensare tale mancanza, assegnando ad alcune leggi un rango appunto “fondamentale”. Orbene la legge in discorso scioglie questo nodo ed in termini palesemente, confessionali.

Il rapido confronto, cui sono venuto fra Italia ed Israele, non è che porti a ritenere la religione ebraica di per sé più in rotta con la laicità, rispetto alla religione cattolica (la Comunità ebraica di Milano ha espresso decisa condanna, per il rapimento di Eitan). Vuol semplicemente dire che la laicità ha trovato in Israele, nei confronti dell’una religione, meno difese che in Italia nei confronti dell’altra.

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