Polizia: ecco cosa può o non può fare durante le manifestazioni in base alla legge

Le manifestazioni non autorizzate sono, oggi, all’ordine del giorno. Ma la Polizia cosa può o non può fare durante le proteste?

La gestione dell’ordine pubblico nel corso delle manifestazioni è sempre stata problematica: lo è stata nel corso degli anni ’60 e ’70 nel clima di violenta contrapposizione politica e ideologica ed è tornata a esserlo drammaticamente nel corso del G8 di Genova nel 2001.

In quel caso in pochi pagarono per le violenze gratuite (e brutali) e gli atti persecutori  ai danni dei manifestanti. Ma il punto vero è uno: fino a dove può spingersi la repressione di una manifestazione da parte delle forze di polizia? E cosa dicono le leggi?

Ecco che cosa può o non può fare la Polizia durante le manifestazioni

In questa materia la stella polare è sempre la nostra Costituzione che, dopo 20 anni di regime fascista, stabilì all’articolo 17 in maniera inequivocabile che: “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi”. Le libertà di riunione, manifestazione e sciopero sono le basi della nostra democrazia e del nostro assetto costituzionale.

La stessa carta costituzionale specifica poi che “Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o incolumità pubblica”. Ed è esattamente questo l’aspetto su cui insistono molti esponenti politici della maggioranza quando parlano di “manifestazioni non autorizzate”, almeno per quanto riguarda Pisa.

Agente di Polizia
Agente di Polizia – Italialaica.it

 

Riassumendo: per promuovere una manifestazione bisogna richiedere il preavviso alla questura di competenza almeno tre giorni prima della data fissata per permettere di organizzare azioni per il mantenimento dell’ordine pubblico. Nel caso di mancata comunicazione sono previste anche delle sanzioni per gli organizzatori.

Ma è un preavviso che è, in molti casi, puramente formale. Per la nostra costituzione le manifestazioni possono essere vietate infatti solo per “comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.

Per citare un caso recente, questa eventualità si è verificata lo scorso 27 gennaio, quando si è deciso di vietare i cortei pro-palestina nel corso della “Giornata della memoria” per scongiurare scontri con la comunità ebraica. Un divieto che ha originato, anche in questo caso, tensioni con le forze dell’ordine.

Nel caso della manifestazione di Pisa invece, non ci sarebbero state ragioni per vietare il corteo. A mancare è quindi solo una richiesta formale che non può però giustificare la reazione violenta delle forze dell’ordine.

Anche perché nella stragrande maggioranza dei casi si è agito con prassi molto diverse. Non si è deciso di intervenire, ad esempio, quando la protesta dei trattori ha rallentato il traffico di molte città italiane arrivando addirittura a bloccare i caselli autostradali. 

Così come non erano autorizzati molti cortei di no vax nel corso degli anni della pandemia, con gruppi di manifestanti che spesso si sono lasciati andare a violenze, provocazioni, e vere e proprie azioni sovversive.

È il caso limite dell’assalto alla sede della Cgil da parte di una frangia dell’estrema destra nel corso del corteo “No Green Pass”. Il questo caso il corteo era autorizzato, ma il presidio delle forze dell’ordine non ha garantito l’ordine pubblico, né le violenze eversive dei manifestanti.

Insomma, l’organizzazione di un corteo “non autorizzato” non è mai, sia nella giurisprudenza, che nella pratica, il semaforo verde per una repressione violenta della manifestazione. Per far sì che ciò avvenga servono altre caratteristiche che sono elencate in maniera dettagliata dalle nostre leggi.

La polizia può intervenire con l’uso della forza in circostanze ben definite. In particolare per le adunate definite “sediziose” che non vengono sciolte dai manifestanti nonostante gli avvertimenti degli agenti.

Stiamo parlando di manifestazioni che “fomentano o promuovono un’azione diretta e violenta contro i poteri costituiti, che mettono in pericolo l’ordine pubblico la sicurezza dei cittadini, e in cui si compiono delitti”. Casi limite quindi, molto lontani da quanto avvenuto a Pisa o Firenze.

Ma il testo di legge definisce anche che in presenza di “grida sediziose o lesive del prestigio dell’autorità” le manifestazioni possono essere disciolte.

È una disposizione che deriva dal Tulps, il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza formulato dal regime fascista e presente nel nostro ordinamento dagli anni ’40.

Nel corso della storia repubblicana il testo è rimasto vigente pur avendo subito molte modifiche da parte della Consulta e del Parlamento per essere adattato alla nostra Costituzione. Ne emerge però un forte potere discrezionale del questore che può decidere di sciogliere una manifestazione sulla base di considerazioni basate sull’interpretazione delle leggi vigenti.

Sì, perché prima di procedere con la repressione gli agenti di polizia devono intimare ai manifestanti per almeno tre volte, in modo chiaro e distinto di sciogliere la manifestazione. Solo se i manifestanti non si disperdono gli agenti possono intervenire, anche questa volta, con precisi limiti stabiliti dalle leggi.

Come premesso, la polizia può intervenire anche con la forza per far cessare una manifestazione, a patto che ci sia un pericolo per la pubblica sicurezza o una minaccia “eversiva” concreta.

Non era obiettivamente il caso delle manifestazioni di Pisa e Firenze, ma anche se lo fosse stato, la reazione non può di certo essere indiscriminata.

Le forze di polizia possono usare armi e strumenti di coazione fisica per:vincere resistenze, impedire violenze e la realizzazione di gravi delitti. La violenza può essere usata anche per legittima difesa, ma deve essere proporzionale all’offesa. Per fare un esempio: un poliziotto non può sparare a un manifestante se quest’ultimo lo insulta o gli tira una pietra.

Il fine non è la punizione dei manifestanti, ma lo scioglimento della manifestazione e il ripristino dell’ordine pubblico. Nel caso dei manganelli, ad esempio, devono essere prese di mira le aree muscolari più importanti del corpo (cosce e braccia) e devono essere evitate quelle in cui possono verificarsi lesioni più gravi.

Ogni colpo deve essere giustificato. Non è tollerabile, né giuridicamente fondato, vedere poliziotti manganellare manifestanti indifesi a scopo punitivo nei vicoli, come è successo, ad esempio, a Genova durante il G8.

I manganelli delle forze dell’ordine dovrebbero evitare aree sensibili, come la testa dei manifestanti, cosa che non è stata evitata nelle recenti manifestazioni.

In generale tutte le armi in dotazione alle forze di polizia, non possono essere utilizzate in maniera indiscriminata. Le immagini di teste sanguinanti e giovani finiti in ospedale dovrebbero essere, in un paese democratico, una sconfitta per tutti, forze di polizia, maggioranza e opposizione. In Italia sono invece, ancora oggi, terreno di contesa politica e ideologica.

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