Laicità, neutralità delle istituzioni, democrazia

“Da alcuni anni a questa parte, per ragioni che andrebbero approfondite […] “laicità” ha smesso di essere una parola chiave del dibattito culturale e politico, fatta eccezione per sporadiche e superficiali fiammate di discussione su casi specifici”, scrive Telmo Pievani presentando Percorsi laici. Appunti, discorsi e pensieri sulla laicità e sui diritti civili, un libro pubblicato dalle Officine Editoriali da Cleto, un piccolo editore in provincia di Cosenza (prefazioni di Telmo Pievani e Gaetano Pecora, postfazioni di Monica Lanfranco e Giulio Ercolessi, pp. 352, € 20).

L’autore, Tullio Monti, è stato animatore per un decennio di due rilevanti organizzazioni laiche, la Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni e il Centro di Documentazione, Ricerca e Studi sulla Cultura Laica “Piero Calamandrei” – Onlus, fondate nel 2005 e nel 2007, e di gruppi politici (Circolo liberalsocialista “Carlo Rosselli”, Associazione Iran Libero e Democratico). Il volume raccoglie interventi e conferenze tenuti in incontri e convegni di queste associazioni, nonché articoli e interviste pubblicati sui “Quaderni laici” dei quali uscirono 14 numeri dalla Claudiana e un numero 15/16 stampato in proprio. Manca nel libro di Monti un’analisi del come e perché la Consulta e il Calamandrei, dopo avere riunito oltre 70 associazioni laiche e avere dato luogo a iniziative di rilievo nazionale, siano rapidamente scomparsi dalla scena pubblica dopo il 2015, travolti da una contestazione interna che rivelò profonde divergenze non tanto sulla politica culturale quanto sulla gestione e sull’organizzazione. Se le basi erano così solide come Monti rivendica nella intervista a cura di Federico Calcagno che apre il volume, il fatto rimane inspiegabile. Ma tutto ciò si può lasciare alle cronache e non diminuisce il valore dei capitoli successivi sui principi teorici, sulle ragioni e sulla storia della laicità che Monti ripercorre con lucidità e chiarezza, con ricchezza persino didascalica di notizie su fatti e personaggi che segnano la incompiuta e malferma laicizzazione dello stato italiano dall’Unità d’Italia a oggi. Più volte Monti ribadisce il “concetto di laicità delle istituzioni, inteso come spazio neutro e comune per tutti i cittadini […] di qualsiasi credo filosofico o religioso, all’interno del quale ciascuno rinunci a voler far prevalere e a imporre le proprie convinzioni ‘ultime’ e non negoziabili, per ricercare invece soluzioni concrete, volte al perseguimento del bene comune, nel rispetto della libertà e dell’identità di ciascuno” (p. 40). Sembra una definizione minimale, ma comporta invece una ispirazione separatista e anticoncordataria nella migliore tradizione liberale, contro i privilegi accordati alla religione “di maggioranza” nel 1929 e rivisti, ma non aboliti, dal neoconcordato del 1984.

Se lo Stato si può definire laico, secondo Monti, quando risponde a tre criteri minimi: 1) libertà e pluralismo religiosi ed etici; 2) neutralità delle istituzioni; 3) separazione giuridica fra istituzioni e confessioni religiose, certamente presuppone che i suoi cittadini accettino la laicità come metodo. Come aveva puntualizzato Giovanni Fornero in Laicità debole e laicità forte. Il contributo della bioetica al dibattito sulla laicità (Bruno Mondadori, 2008), in senso largo la laicità comprende una serie di atteggiamenti metodici (autonomia discorsiva, pluralismo, tolleranza, ecc.) che si riferiscono sia alla sfera teorico-conoscitiva, sia a quella pratico-politica. Per il suo carattere procedurale, tale forma di laicità può essere fatta propria da chiunque, cioè non solo dai non credenti, che professano una laicità sostanziale decisamente anti-religiosa oppure soltanto a-religiosa, ma anche dai seguaci delle varie religioni che rinunciano a pretese assolutistiche. Guido Calogero in Filosofia del dialogo (1962, ripubblicato dalla Morcelliana nel 2020), aveva scritto che il laicismo (o la laicità) non è una dottrina accanto ad altre dottrine, ma è la regola della coesistenza di fedi e dottrine anche opposte, sulla base di “non pretendere di possedere la verità più di quanto ogni altro possa pretendere di possederla”, e ragionando nello spazio pubblico etsi Deus non daretur, secondo la formula di Grozio ripresa e riattualizzata da vari autori, tra cui Gian Enrico Rusconi che fu presidente del Centro Calamandrei. Non è quello che fa la Chiesa cattolica, oggi, dopo aver tenacemente e così a lungo avversato i presupposti etico-politici dello Stato liberaldemocratico? No, osserva Monti, se le autorità religiose pretendono di dettare comportamenti non solo ai propri aderenti ma di imporli a tutti attraverso leggi dello Stato, in nome di una legge morale che sarebbe naturale, oggettiva, universalmente valida, e che la rivelazione, di cui è depositaria la Chiesa, non farebbe che confermare e illuminare di luce trascendente, come sosteneva nel 2002 Joseph Ratzinger, allora capo della Congregazione per la Dottrina della Fede. Aggiungiamo che nonostante le aperture pastorali e sociali di papa Bergoglio, non risulta che innovazioni dottrinali fondamentali siano state introdotte in proposito né che le gerarchie cattoliche abbiano accettato il principio che Luigi Ferrajoli così riassumeva: “Lo Stato non deve […] immischiarsi nella vita morale dei cittadini, difendendone o precludendone stili morali di vita, credenze ideologiche o religiose, opzioni o atteggiamenti culturali. […] È precisamente in questa sua neutralità morale, ideologica e culturale e perciò nella sua non invadenza nella vita privata delle persone se non per proibire condotte dannose per i terzi, che risiede la laicità del diritto e dello stato liberale” (La questione dell’embrione tra diritto e morale, in «Politeia», n. 65, 2002).

Ma la neutralità dello Stato è ritenuta principio insufficiente nella prefazione di Gaetano Pecora al libro di Monti e nel suo recente saggio Il lumicino della ragione. La lezione laica di Norberto Bobbio (Donzelli, 2021), dove   – contrariamente a quanto sostenuto generalmente dai laici –  afferma recisamente che “la neutralità dello Stato laico […] è una solenne sciocchezza di cui mette conto liberarsi al più presto” (p. 61). Ci sembra preoccupato di smarcarsi da una concezione della laicità latitudinaria che per voler essere di tutti perde i suoi valori e principi peculiari. Niente da eccepire se intende contrastare la nota posizione del costituzionalista cattolico Ernst-Wolfgang Böckenförde secondo il quale lo Stato liberale e laicizzato ha un deficit di legittimazione, un vuoto che deve essere colmato da una “eticità” fornita da convinzioni pre-politiche e da identità religiose. O se intende respingere – come fa Paolo Flores d’Arcais raccogliendo i suoi scritti Contro Habermas (Aragno, 2021) –  la “terza via” tra scienza e fede che propone il filosofo francofortese, il quale in sostanza condivide il teorema di Böckenförde e vede nelle religioni risorse indispensabili per la “fondazione del senso” in una modernità deragliata dalle sue promesse emancipative.  Ma proprio l’opera di Bobbio, che il libro di Pecora ha il merito di indagare senza nasconderne i punti problematici, ci mostra che la preminenza della laicità procedurale o metodica rispetto a quella sostantiva non è rinunciataria ma è anzi molto esigente. Anziché un cittadino neutrale e disimpegnato, Bobbio presuppone le “virtù mondane e civili” che in Politica e cultura aveva elencato come “i frutti più sani della tradizione intellettuale europea, l’inquietudine della ricerca, il pungolo del dubbio, la volontà del dialogo, lo spirito critico, la misura nel giudicare, lo scrupolo filologico, il senso della complessità delle cose” (nell’edizione Einaudi a cura di F. Sbarberi, p. 240).

In questo senso la laicità è una componente fondamentale della democrazia. Come ha scritto il compianto Salvatore Veca, recentemente scomparso, “Dovremmo ricordare, nell’avvio opaco del ventunesimo secolo fra passi del gambero, fondamentalismi, fanatismi e cupe teocrazie e guerre sante di vario tipo, la saggia massima di Michel de l’Hopital, che la formulò nel terribile secolo delle guerre di religione europee: ‘Non importa quale sia la vera religione, ma come si possa vivere insieme’” (Laicità e democrazia: ‘simul stabunt, simul cadent’, in “Micromega. Almanacco di filosofia”, 2008).

Monti dedica due saggi al liberalsocialismo e uno a illustrare la figura un po’ dimenticata di Ernesto Rossi. Nella sua postfazione Giulio Ercolessi ritiene, con il pessimismo della ragione, che siano arrivate al capolinea sia l’ideologia socialista sia quella liberalsocialista. Ma Ercolessi ricorda anche che la storia “riserva sempre sorprese e sviluppi imprevedibili” (p. 352) e noi continuiamo a vedere come indispensabili, non per i lendemains qui chantent ma per un oggi appena decente, i principi della ispirazione liberalsocialista che Veca così sintetizzava nel volume collettaneo Sinistra senza sinistra. Idee plurali per uscire dall’angolo (Feltrinelli, 2008): “non possiamo accettare che il destino delle persone sia dominato e plasmato da circostanze sociali, economiche, culturali e istituzionali che giacciono al di fuori della loro scelta e responsabilità”, per cui “la politica deve mirare con i suoi provvedimenti e le sue scelte pubbliche a ridurre, quando non ad azzerare, gli effetti pervasivi che sui piani di vita delle persone esercita la lotteria naturale e sociale”. Come la laicità procedurale non è priva di presupposti, perché chiede di prendere sul serio il pluralismo del mondo moderno, in cui i valori religiosi non possono pretendere il controllo gerarchico su altri valori (estetici, etici, cognitivi…) che sono del tutto autonomi, così la democrazia non può e non deve ridursi a un guscio vuoto che copre immense diseguaglianze e ingiustizie.

Quanto a Bobbio, Donzelli ha edito da poche settimane il suo ultimo corso: Mutamento politico e rivoluzione. Lezioni di filosofia politica (a cura di Edoardo Bellando, Laura Coragliotto, Luigina Merlo Pich, prefazione di Michelangelo Bovero) mettendo a disposizione le sue lezioni di quarant’anni fa. È l’occasione per vecchi e nuovi lettori di rimeditare un pensiero complesso e sfaccettato, dentro la proverbiale chiarezza delle sue distinzioni concettuali.

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