Graphofeel Edizioni, Roma, 2023, pagine 244, euro 16,00
Mario, il cugino dei giochi infantili, il compagno della lotta partigiana nella Castellana, era il medico che mi presentò all’ospedale di Castelfranco?
Quando arrivai da Vicenza, accanto al suo letto di ricoverata per un intervento, c’era anche la mamma; con le labbra di un bel rosso fiammante. Al cugino disse che ero la delfina di Gabriella Ceccatelli. Ero arrivata a Vicenza per le mie prime 12 ore di “incarico a tempo determinato” in una scuola media; mi pesava non poter più svolgere l’impegno a pieno tempo di Incaricata Provinciale Giovani del Movimento Femminile e Regionale dell’Emilia Romagna nel Movimento Femminile della Dc, che mi portava a frequentare Bologna, le sezioni sparse, a organizzare e tenere relazioni a convegni e corsi di formazione. Avevo già frequentato i miei primi corsi nazionali estivi di formazione dirigenti alla Camiluccia, organizzati e presieduti sempre dalla Vice Delegata Nazionale Tina Anselmi e dall’Incaricata nazionale Ceccatelli. Prima, dunque, del 1968 quando poi lasciai l’insegnamento per Roma, come era accaduto a Tina tanti anni prima.
Il libro di Chiarastella Campanelli, edito da Graphofeel, racconta in modo accattivante, sciolto, persino affettuoso, la vita di questa donna dedicata alla politica: Tina Anselmi la ragazza della Repubblica. Titolo suggerito dall’affettuoso modo di chiamare Tina da parte del Presidente della repubblica, il socialista Sandro Pertini. Dunque, una vita da conoscere anche per capire meglio la storia di tempi ormai lontani. Adatto anche ai più giovani perché in forma romanzata. Ma certamente più corretto e comprensibile, rispetto al film prodotto dalla tv pubblica e messo in onda su Rai1 il 25 aprile con il titolo Una vita per la repubblica: la descrizione del periodo partigiano dopo l’8 settembre 1943, l’impegno nel sindacato tessili della Cisl dopo, è seguito dal triplo salto mortale che offre Tina Anselmi già deputata a Roma.
Con una recitazione che offre Tina a mezzo, tra un modello arcaico di donna emancipata e pudica, sicura e un tantino seduttiva, in linea con il tipo di donna politica in carriera che si è imposto dopo l’avvento dell’era berlusconiana.
Ai tempi di Tina una donna di partito non aveva riferimenti a modelli di comportamento femminili: a causa della rigida divisione sessuale dei ruoli che imponeva il privato –il lavoro di cura- alle donne e l’ambito pubblico, di potere, agli uomini. Così si finiva per assumere inconsapevolmente atteggiamenti di tipo maschile, con un abbigliamento che manifestava il livello di emancipazione raggiunto. Stop.
Chiarastella Campanelli mi ha fatto ritrovare Tina: quella dei corsi nazionali di formazione, dei convegni del M.F. e, durante il periodo romano quella del comune lavoro all’EUR nella sede nazionale del M.F. della Democrazia Cristiana; dove ci incontravamo ogni mattina. Dopo la mia uscita dal partito e l’adesione al Manifesto, avendo ripreso l’insegnamento in provincia di Treviso, andavo a trovarla a Castelfranco quando rientrava da Roma per il week end.
Nel libro di Chiarastella non c’è soltanto l’intensa, appassionata partecipazione alla lotta partigiana e l’impegno -dopo la liberazione- nella Cisl: c’è anche il lavoro di maestra. Mi raccontò una volta dei suoi alunni, per i quali le mamme aggiungevano un po’ di grappa nel caffelatte perché sentissero meno il freddo pungente dei duri inverni innevati, durante il tragitto per raggiungere la scuola.
Affettuosamente diceva anche “ho una sorella che ha la tua età” (io classe 1940): ”L’undici gennaio del 1941 nacque Gianna.”, la seconda sorella.
In alcune pagine Tina appare come una qualunque giovane alle prese con la scoperta della relazione con un uomo: “Giunta finalmente alla stazione di Castelfranco trovò Nino ad accoglierla; lui le prese la valigia dalle mani e le accarezzò la testa. Tina, imbarazzata, si voltava in giro per vedere se qualcuno li osservava.” Noi, al Movimento Femminile, conoscevamo poco di questa relazione, perché una donna cattolica politica importante, doveva essere riservata come e ancor di più rispetto ai colleghi uomini. E poi Tina era affettuosa e sobria di suo: ”Coltivava un sentimento profondo per Nino, ma aveva paura a mostrarlo in pubblico.”
Al M.F. si sapeva della morte di lui: si sussurrava della relazione ma non si conosceva il suo nome.
Fino a quando i corsi nazionali di formazione si svolsero a Roma al Centro A. De Gasperi alla Camiluccia, al dopo cena all’aperto nella terrazza sopra alla cappella, con vista sulla Roma notturna invasa di intense luci estive, mentre il ponentino alleggeriva il calore di luglio, Tina raccontava, in lingua veneta, le barzellette sui preti. Anche quelle che avevo già sentito dal don insegnante di religione: al termine di un consiglio di classe o in occasione di una cena tra colleghi in un angolo di trattoria. Tina –si legge- rispondeva a Nino che era ricoverato per la tbc, lettere piene di affetto con “aneddoti e qualche barzelletta per farlo sorridere”.
Forse in quel caldo mese di luglio mi ero affaticata nel lungo viaggio su treni “accelerati” che facevano sosta a ogni piccola stazione della costa Adriatica, o in quelle delle colline interne, dopo i cambi per le coincidenze a Rimini e a Senigallia; a Termini una lunga corsa sull’autobus fino alla Camillucci. Quando arrivai, all’inizio del pomeriggio, le altre corsiste mi avevano preceduta e avevano anche pranzato; Tina mi consigliò di riposare e mi condusse in una delle camerate non utilizzate perché noi eravamo soltanto una ventina. Ma mentre cercavo di rilassarmi sulla dura brandina, sentii un coro di voci avvicinarsi: una corsista con in mano un libro mi invitò a fare testamento, un’altra disse che intendeva somministrarmi l’estrema unzione. Un po’ distante stava Tina divertita a questo gioco tra il goliardico e l’infantile e, complice, ripeteva che le aveva pregate di lasciarmi stare.
Nel film (fiction) non è dato sapere a cosa dovesse la formazione e la passione per l’impegno nei riguardi della condizione femminile di palese inferiorità nelle tradizioni come nella legislatura arretrata. Non si capisce come con le altre parlamentari DC come Franca Falcucci e Maria Eletta Martini, riuscirono a legiferare su materie importanti a favore di importanti cambiamenti.
A pag. 109 appare il nome di Maria Jervolino, una delle 21 donne della Costituente.
Maria De Unterrichter Jervolino, moglie di un partigiano e costituente campano, è stata una delle protagoniste della fondazione del M.F. e tra le prime Delegate nazionali. A lei era molto legata Franca Falcucci, che, racconta Chiarastella, aveva offerto a Tina amicizia e ospitalità quando si trasferì a Roma al M.F.
Lidia Menapace, in un suo saggio sulla Democrazia Cristiana degli anni Settanta, ricorda Maria Jervolino come una delle donne del M.F. fermamente laica. La laicità dello stato in Italia è stata una difficile conquista, non del tutto portata a termine. La distinzione tra religione e politica, presente nella Costituzione agli artt, 7.8. 33, è stata onorata dalla ministra cattolica Tina Anselmi con la firma alle leggi approvate dal Parlamento.
A p. 153 si ricorda l’anno dell’approvazione della legge sul divorzio. “sebbene in pubblico –scrive C. Campanelli di Tina- fosse rimasta aderente alla linea del partito che contrastava la legge, nel silenzio delle sue riflessioni personali iniziò a interrogarsi sulla necessaria autonomia che dovevano avere fede e politica, si chiese quanto fosse inopportuno non assecondare alcuni mutamenti sociali, diventati ormai inevitabili, allontanando così i cittadini dalla base democratica che la DC aveva costruito con perseveranza.”
La simpatia, l’attenzione ai movimenti dei giovani, per la pace nel Vietnam, per l’eguaglianza e la fine del colonialismo, li dimostrò anche con il suo sostegno quando proposi, per il corso nazionale di formazione dirigenti nel luglio del 1968, il tema della contestazione giovanile nel mondo. Alla mia lezione di apertura assistette anche, per la prima volta, la Delegata nazionale Franca Falcucci molto critica e dubbiosa. E, per la prima volta quella prima lezione non sarebbe stata svolta da Lidia Menapace, appena uscita dal partito dichiarando la scelta marxista.
Nel M.F. forte fu l’impegno per cambiare il diritto di famiglia, che puniva l’adulterio delle donne in maniera più severa rispetto a quello degli uomini, che imponeva alle mogli di assumere il cognome del marito e di accettare gli interventi anche violenti (“correttivi”) del “capo famiglia”.
Franca Falcucci, senatrice nel 1968 quando Tina entrò in parlamento, aveva ereditato dalla trentina Maria un rigore organizzativo che imponeva con piglio autoritario come Delegata Nazionale. Tina faceva parte della corrente morotea mentre la Falcucci -con simpatie per le correnti di destra del partito- ostentava una neutralità che riteneva doverosa da parte del M.F. L’amicizia che le legava fin dalle origini non impedì a Tina, per il convegno del rinnovo del Consiglio Nazionale del M.F. del 1969, di proporre e ottenere per la prima volta due liste, la sua e quella di Franca. In albergo condividevo la camera con la mia amica Rosa Jervolino, figlia di Maria che però a differenza di me, era candidata nella lista della Falcucci, come anche Paola Gaiotti. Entrambe, con la crisi dei partiti si collocheranno poi più a sinistra.
Nel libro c’è anche il racconto del ritorno a Castelfranco per la campagna elettorale delle elezioni del 1968. Con fatica eravamo riuscite a imporre alla direzione del partito le due candidature di Tina e di Franca. Eravamo consapevoli che Tina la campagna elettorale se la sarebbe dovuta giocare da sola, in un territorio dove un dc assai potente avrebbe cercato di contrastarne il successo. Il 9 maggio fu eletta, scrive l’autrice, e “In prima linea, di fronte al piccolo palco, erano schierati i nipotini. C’era Emanuela, che aveva compiuto cinque anni, Raffaella di tre, Piero di appena un anno e la piccola Valeria che aveva pochi mesi.” Anni dopo, in una lettera, mi raccontava di Raffaella che a me era sempre apparsa come la sua preferita.
Tina Anselmi volle fortemente anche un sistema nazionale della sanità come diritto gratuito previsto dalla Costituzione. Come non ricordare quando, durante un corso nazionale, ci spiegò perché era stato importante nazionalizzare l’energia elettrica (1962): ai privati –ci disse- non conviene portare l’energia elettrica alle case contadine sparse nelle campagne e nelle colline, uno stato invece deve farlo. Ecco, chiariva, questo vuol dire perseguire il “bene comune”.
Tina Anselmi è stata la prima donna ministra della repubblica, con un ritardo epocale su Paesi anche del Terzo Mondo. Capace di mediazione politica, non cedeva di un centimetro alla sua coscienza di cattolica e lo dimostrò in varie occasioni, urtando talvolta i colleghi di partito inclini ai compromessi per interessi privati o di corrente. La tragedia del rapimento dell’on. Moro, con il compito a lei assegnato di tramite tra la famiglia e il partito, le fu motivo di grande sofferenza. La morte di Aldo Moro aprì un’epoca politica nuova con la successiva crisi del sistema dei partiti nato con l’Italia repubblicana. A lei poi venne affidata la presidenza della Commissione d’inchiesta che doveva indagare sulla Loggia massonica guidata da Licio Gelli. Ne risultavano membri prevalentemente uomini della DC e del PSI, due ministri e militari degli alti gradi delle forze dell’ordine, dei servizi segreti, più svariati personaggi del mondo finanziario. La sede della Commissione fu presso Palazzo San Macuto. In una lettera mi scrisse che aveva incontrato Lidia Menapace e poi anche Paola Gaiotti e che, con entrambe aveva parlato di me. Mi invitava a passare da palazzo San Macuto per andare a pranzo insieme a Paola Gaiotti.
Ada, l’amica di Venezia, le raccontò di essere stata alle Fosse Ardeatine con una delle sue classi: a “Tina alzò gli occhi dal piatto e interruppe il lavoro di coltello e forchetta sulla sua bistecca; dopo un lieve sospiro accompagnato da un sorriso, le rispose: ’Fai bene a portarli lì e a ricordare la storia. Le nuove generazioni sono il nostro futuro. La prossima volta, anzi, vi accompagno!’”
Chissà se si ricordava di quella volta che, in occasione di un convegno del M.F. a Roma, dopo la visita collettiva alle Fosse Ardeatine, ripresi i lavori del convegno, con affetto e delicatamente consolò una giovane relatrice arrivata in rappresentanza della CDU femminile tedesca, e figlia di uno dei membri del gruppo che organizzò l’attentato a Hitler: era crollata -davanti a tutte noi in platea- in un pianto angosciato.
Il 6 marzo del 1986 a larga maggioranza venne votata la sua relazione di condanna della P2.
Campanelli sottolinea che si sentì amareggiata anche perché aveva capito come la politica era diventata “mero terreno di conquista individuale, per conseguire interessi privati”.
Non sarebbe poi più stata eletta perché volutamente emarginata, ma avrebbe continuato a raccontare la lotta resistenziale e la Costituzione nelle scuole.
In una delle mie ultime telefonate, quando stava già male mi disse addolorata e spenta: “non mi fanno più andare da sola nelle scuole”.
Il libro termina con la neve caduta in montagna, intorno alla casa delle vacanze e con l’ultima nipote Valentina che lietamente le gira intorno.
Ileana Montini
Nessun commento