Il nostro sistema partitico si è di recente confrontato con elezioni, in due importanti regioni. Naturalmente, si tratta di due regioni soltanto e d’altra parte le elezioni regionali non hanno lo stesso rilievo delle elezioni del parlamento, né possono disinvoltamente compararsi con queste ultime. Ma colgo lo spunto per qualche considerazione, di tipo generale, che ha come oggetto i sistemi partitici e le varie dimensioni di conflitto che li attraversano. Il discorso riguarda, va da sé, Stati democratici: in cui cioè -si potrebbe dire in estrema sintesi- parlamento e governo conseguono ad elezioni (con suffragio universale e con esito non predeterminato).
Nel noto libro “Le democrazie contemporanee”, Lijphart considerando il periodo dal 1945 al 1980 ha individuato come conflitto più rilevante quello economico-sociale: i partiti di sinistra sono per uno Stato che abbia un forte ruolo in campo economico, sono per una redistribuzione della ricchezza, sono per un’ampia assistenza sociale, obiettivi che nel complesso sintetizzerei come ispirati al valore dell’uguaglianza; i partiti di destra, invece, sono contro tali obiettivi. Al secondo posto come rilevanza, ecco il conflitto che riguarda la religione: è caratterizzato dalla presenza di partiti che ad una religione si rifanno. Infine, ecco ulteriori conflitti come quello basato su eterogeneità di tipo soprattutto linguistico e quello che sorge da questioni ecologiche.
Rispetto allora, a tale quadro, consideriamo il nostro paese per il periodo analizzato da Lijphart e per gli anni successivi. Quanto al conflitto economico-sociale è evidente che per i partiti di sinistra sono anni successivi, forieri di un mutamento: giacché questo conflitto, si tende ad ignorarlo (o addirittura lo si affronta dal versante opposto). Al PCI che era la formazione di maggior rilievo, subentra come principale erede un -dall’etichetta più blanda- Partito Democratico di Sinistra; erede che confluisce poi nel PD, il quale si limita all’etichetta di “Democratico”. D’altra parte, prima di tale mutamento relativo al PCI vi era stato, quello del PSI; partito che uscirà di scena negli anni ‘90.
Ed il conflitto religioso? Partirei proprio dal PSI, la forza politica che maggiormente si caratterizzava per istanze laiche -il PCI aveva pur sempre votato l’art. 7 della Costituzione, anche se si comporterà in modo diverso su divorzio ed aborto-. Istanze, che negli anni ‘60 il PSI confermava venendo un governo cui partecipava a metterlo in crisi, per una legge che accresceva il finanziamento alla scuola media non statale (e largamente cattolica).
Alcuni lustri dopo, però, ecco il governo Craxi protagonista di un rinnovo del Concordato, che comportava soltanto limitati passi avanti rispetto al testo precedente. Sulle idee, con cui nel PSI si giungeva a tale rinnovo, è eloquente quanto molti anni dopo ha detto su “Il corriere della sera” -che lo definisce “regista”, da parte socialista, della relativa trattativa- Gennaro Acquaviva: col nuovo Concordato, “Italia e Vaticano si riconoscevano l’un l’altro come cofondatori dello Stato moderno italiano”.
D’altro canto, una volta uscito di scena il PSI, è soltanto una laicità debole che mi pare attribuibile al PCI ed alle formazioni che abbiamo visto subentrargli. Vengono poste (ho già rilevato su Italialaica) non questioni, che investano la Chiesa in quanto istituzione -anzi si aprono spazi, alle scuole cattoliche-. Ma soltanto questioni che come la omosessualità ed il suicidio assistito investono la Chiesa, in quanto fede; questioni che, di tutto rispetto sul piano dei principi, hanno evidentemente un minor impatto nella società di quelle su divorzio ed aborto negli anni delle discussioni, sulle relative leggi ed i relativi referendum. Comunque, in tema di aborto non mi risulta che il PD per le recenti elezioni riguardanti anche il Lazio abbia dato rilievo alle nuove modalità per assumere personale medico, in tale regione introdotte dalla giunta Zingaretti per fronteggiare l’obiezione di coscienza.
In definitiva, un sistema partitico in cui su questioni economico-sociali come su questioni religiose il conflitto è scarso perché in ciascuna, delle due contrapposizioni, un versante è poco visibile, avrà forse qualche responsabilità su elezioni che vedono una percentuale sempre maggiore di astensioni?
Siccome poi, nelle recenti elezioni regionali ed anche nelle precedenti per il parlamento c’è pur sempre chi ha vinto, cioè la destra, una ulteriore domanda me la porrei con riferimento all’attuale papa. Il quale, a condizione che non si tratti dello status della Chiesa, mostra col valore dell’uguaglianza economico-sociale buoni rapporti (né abbonda, in affermazioni dogmatiche; mentre Ratzinger tali buoni rapporti non li mostrava e, d’altro canto, si identificava con quello “Splendor veritatis” che era il titolo di una sua enciclica). Orbene una porzione di elettorato non potrà forse considerare, che il Dio del papa è lo stesso cui si riferisce il motto “Dio, patria e famiglia”, rinvenibile nella coalizione di destra ora al governo: e ritenere che l’uguaglianza economico-sociale, così poco perseguita dai partiti all’opposizione, abbia piuttosto qualcosa a che fare con questa coalizione?
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