LUTERO E LA MODERNITÀ

Di | 06.01.2008


Questa relazione è stata presentata da Giulio Ercolessi al convegno Protestantesimo e modernità della scorsa primavera presso la Facoltà valdese di Roma ed ora è pubblicata nellopuscolo Pagine in cielo.

Gittò la tonaca

Martin Lutero;

Gitta i tuoi vincoli,

Uman pensiero,

E splendi e folgora

Di fiamme cinto;

Materia, inalzati;

Satana ha vinto.




È probabile che una ripresa, magari assai più sobria, della chiave interpretativa del ruolo di Lutero e della Riforma nella storia della modernità occidentale avanzata nel 1863 da Giosuè Carducci nellInno a Satana sarebbe stata una facile tentazione per più di un esponente della cultura liberalradicale (quale anche Carducci era stato ai suoi tempi, sia pure a fasi un po alterne), che fosse stato chiamato a discutere di Protestantesimo e modernità prima che il ritorno di interesse per la conoscenza dei fatti religiosi si imponesse una trentina di anni fa anche alla cultura laica, sullonda del risveglio islamico e di quella che è stata chiamata a torto o a ragione la revanche de Dieu. Anche senza arrivare a quegli eccessi, e pure facendo tutta la necessaria tara del pittoresco e un po frivolo sensazionalismo satanista di Carducci (non da ultimo, per evitare imbarazzanti confusioni con la straripante paccottiglia che circola oggi in materia), il nesso fra Riforma e nascita della modernità civile e politica occidentale continua a rendere ancor oggi ineludibile lincontro e il confronto fra liberalismo progressista e mondo protestante: soprattutto nei paesi di tradizione maggioritaria cattolica; e in Italia almeno fin dal Risorgimento, al di là delle contingenti vicende della storia successiva, al di là perfino degli orientamenti politici o culturali prevalenti in diversi momenti nelle chiese protestanti, al di là della frequente convergenza di sensibilità sulle questioni etiche controverse legate allaffermazione o alla negazione della libertà e della responsabilità degli individui.

Il mio punto di vista è quello di un liberalradicale, che non considera affatto la modernità occidentale sinonimo di perdita progressiva e senza ritorno di senso e di valori, reversibile solo a patto di riprendere il filo interrotto del paradigma cristiano medievale, e neppure la considera sinonimo di un devastante appiattimento, impostosi solo con la forza al resto del mondo e responsabile di avere annientato una presunta impareggiabile ricchezza atavica dei particolarismi etnici e tradizionali delle regioni e delle nazioni europee. La capacità autocritica che è propria del relativismo moderno non deve condurre necessariamente alla tirannia della penitenza, a unautoflagellazione permanente che si traduca nella condanna masochistica di ogni conquista civile della modernità. Si può anche usare quella capacità autocritica per criticare lOccidente in nome degli stessi valori etico-politici suoi propri. Si possono considerare la modernità occidentale e lidea stessa di progresso come progetti incompiuti, anziché come un destino acquisito, come compiti da attuare, di fronte a cadute e regressioni sempre in agguato.

Chi si proponga di criticare lo stato dellOccidente in nome dei suoi valori ha innanzitutto lonere di definirli, e con ciò di dare la propria interpretazione di quel che vi è in questa storia di peculiare e per lui significativo. Non presupponendo che esistano assurde antropologie e identità collettive capaci di preservarsi statiche e inalterate attraverso i millenni, ma al contrario ricercando nella storia quel che ha concorso a renderci oggi riconoscibilmente diversi da altre tradizioni politiche e civili, soprattutto da quelle che ci appaiono più autoritarie delle nostre.

Prendere lo spunto da un film sulla vita di Lutero per confrontarsi con i valori della modernità occidentale può però facilmente indurre in fraintendimenti come quelli rappresentati nellingenua sintesi di Carducci. Lutero e la Riforma sono bensì un passaggio decisivo per la nascita della nostra modernità, un momento di ridefinizione dellantropologia occidentale che avrà un ruolo determinante nellindirizzare e ricomporre materiali culturali della storia europea in forme e direzioni che avrebbero potuto essere anche del tutto diversi. La Riforma quella luterana ma anche quella calvinista non è però inizialmente il momento della formulazione della modernità politica occidentale. È semmai una delle condizioni che hanno poi reso possibile un risultato del tutto inintenzionale.

A tanto maggior ragione va sfatata lormai ricorrente affermazione secondo cui lintera fabbrica del liberalismo occidentale e la centralità dellidea dei diritti umani e del valore dellindividuo sarebbero il portato naturale dellintero sviluppo della storia occidentale e della civiltà giudaico-cristiana in particolare, e sarebbero già state contenute in nuce nella tradizione e nel pensiero cristiano, anche se malaugurate contingenze storiche avrebbero impedito alla Chiesa romana di farsene fautrice esplicita e tempestiva, lavrebbero anzi costretta quasi contro natura a combatterle, salvo farle poi proprie con il Vaticano secondo dando loro finalmente una retta interpretazione.

Del resto i principali ingredienti che in tale visione avrebbero naturalmente dato vita a questi elementi centrali della nostra modernità politica erano tutti presenti anche nellarea culturale del cristianesimo ortodosso e bizantino, e in misura semmai maggiore, non certo minore, che nellarea dellOccidente latino: eppure eredità del pensiero razionalistico greco, diritto romano, fede cristiana non hanno affatto spontaneamente prodotto in quellarea modernità, democrazia, diritti umani, e neppure secolarizzazione, libero mercato, predominio della conoscenza scientifica. Nei paesi segnati da quella tradizione, questi prodotti dellOccidente si sono affermati essenzialmente quando consapevoli scelte politiche ne hanno, prima o poi e in misura variabile, deciso limportazione. Leccezione ortodossa è troppo imponente perché non si riverberi su tutte le costruzioni culturali che mirano a dedurre da unoriginaria essenza del cristianesimo, ricostruita in chiave culturale o teologica, buona parte degli sviluppi della nostra modernità politica democratica.

La premessa necessaria va piuttosto ricercata nel lento affermarsi dellidea occidentale di individuo nel corso del tardo Medio Evo, un processo particolarmente precoce nellItalia centro-settentrionale, nelle Fiandre e in Inghilterra, frutto degli sviluppi della vita sociale ed economica, dei conflitti politici, e testimoniato nella letteratura e nelle arti figurative. Dato che però tre secoli abbondanti di polemica cattolica, tradizionalista, e poi socialista, e fascista, o oggi magari altermondialista, nei confronti dellindividualismo occidentale hanno cristallizzato il dibattito politico e culturale in schemi che possono risultare fuorvianti, non sarà inutile sottolineare che spesso le parole, e soprattutto, come ricordava Bobbio, le parole della politica, nascondono significati e intenzioni molteplici e spesso contraddittori. Mi sembra molto significativo a questo proposito un raffronto fra i dizionari dei sinonimi della lingua italiana e quelli dellinglese, la lingua in cui per la prima volta si sono venute formando le idee e la prassi del liberalismo europeo. Per uno dei migliori dizionari dei sinonimi italiani (lo Stoppelli), individualista è sinonimo di "soggettivista, solipsista, egoista, egocentrico"; più chiaramente ancora, è considerato il contrario di "altruista". Per un dizionario inglese dello stesso tipo (il Longman), individualistic è sinonimo di: individual, distinctive, distinguishing, distinct, original, uncommon, novel; separate, unallied, nonpartisan, uncommitted; personal, intrinsic, inherent, characteristic, marked, typical; private, exclusive, intimate; particular, definite, limited, specific; independent, free-thinking, unconstrained, unorthodox; special, unique, rare, extraordinary, bizarre, unconventional; idiosyncratic, peculiar, eccentric, singular, strange, odd, conspicuous. Come si vede, per litaliano lindividualismo è spesso inteso come una forma appena attenuata di egoismo; per linglese e per la tradizione del liberalismo progressista in particolare significa essenzialmente sforzarsi di pensare con la propria testa (per quanto consapevoli si possa essere di quanto condizionata o formata fra mille vincoli non possa che risultare la ragione individuale).

Il Qui sto io di Lutero a Worms davanti alla Dieta e allImperatore è il disvelamento di questo processo di autonomizzazione dellindividuo occidentale, punto di svolta epocale e al tempo stesso punto di partenza. Non è direttamente, nelle intenzioni di Lutero, laffermazione del valore dellincoercibilità della coscienza individuale, e tanto meno è intenzione di fondare una nuova fede o una nuova chiesa. Al contrario, è, nelle sue intenzioni, nientaltro che obbedienza radicale alla Parola di Dio. Non è nemmeno affermazione del principio del libero esame (anche se poi non si ritrarrà dallo stabilire una sua gerarchia delle fonti, a vantaggio di Paolo e a scapito di Giacomo). È sì in un certo senso una rivoluzione, ma, come sarà ancora per quasi tre secoli, in un significato analogo a quello della rivoluzione degli astri: quello di restaurare lordine divino sovvertito dagli uomini tornando al punto di partenza. Non è, soprattutto, una rivendicazione di diritti: lorizzonte politico di Lutero, come del resto, e ancor più radicalmente, quello di Calvino, resterà quello della sottomissione politica delineato in Romani 13.

Eppure è proprio in quel Qui sto io che un liberale non può che vedere ancor oggi un momento decisivo e cruciale per la nascita del proprio mondo: al di là delle intenzioni di Lutero, è già il mondo che verrà segnato dal progressivo quanto contrastato e combattuto riconoscimento dellincoercibilità della coscienza individuale, alla cui edificazione daranno un contributo determinante proprio il libero esame, listruzione popolare, lesegesi non letteralista, il sacerdozio universale dei credenti, labolizione della gerarchia, del potere sui sacramenti e sulle scomuniche, e poi la proclamazione delluguaglianza degli uomini in quanto segnati tutti monarchi compresi dalla stessa indegnità creaturale, il pluralismo denominazionale premessa di quello politico, laffermazione della preminenza della società rispetto al governo, la separazione fra Stato e confessioni religiose in nome dellinvisibilità della vera chiesa, la leadership basata sullautorevolezza della predicazione premessa del ruolo centrale dellargomentazione pubblica e democratica.

Sarà solo nel corso del Seicento inglese che domande tuttaltro che inizialmente coordinate fra loro di riforma religiosa, di riforma politica e di riforma economica, precipitando nel grande crogiolo della Great Rebellion, riceveranno una prima sistemazione teorica nelle perorazioni di Milton e nellopera di Locke, fino a dar vita alla prima grande concretizzazione politica e costituzionale: quella realizzazione pratica, imperfetta, realistica e contraddittoria, che fu il sistema di governo nato dalla Gloriosa rivoluzione: un evento che Guglielmo dOrange, come ricordava Giorgio Spini, aveva condotto allinsegna del duplice motto latino che aveva fatto iscrivere sugli stendardi del suo esercito, pro religione protestante, pro libero parlamento. Creando nellEuropa dellepoca il vero modello alternativo allassolutismo della monarchia solare francese, un modello che si sarebbe aperto alla successiva evoluzione democratica, e destinato ad essere da allora e per più di due secoli un punto di riferimento paradigmatico costante dei protoliberali e dei liberali di tutta Europa.

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Non minori equivoci della relazione fra modernità politica occidentale e biografia di Lutero potrebbe ingenerare il discuterne in rapporto allEtica protestante di Max Weber. Non solo per lanacronismo rispetto al periodo al centro dellindagine di Weber e perché il suo interesse è imperniato piuttosto sul ruolo del calvinismo; e non solo in relazione alle autorevoli obiezioni che gli sono state avanzate nel merito, sia per quel che riguarda leffettiva centralità del calvinismo per la nascita del capitalismo, sia la mancata verifica nelle fonti delle tracce dellangoscia da predestinazione nel vissuto effettivo e diffuso dei mercanti calvinisti del Seicento.

Il punto è che, mentre si può davvero dire che lintera opera di Weber ruoti attorno allinterrogativo sulle ragioni dellunicità dellOccidente illustrato in una delle celebri pagine iniziali dellEtica protestante quel che viene spesso sottovalutato è un elemento cruciale nella stessa metodologia weberiana: il punto di vista del ricercatore, la relazione ai valori che stanno alla base del suo interesse conoscitivo, quella relazione al valore (la Wertbeziehung) che delimita il campo e segna la direzione della ricerca. Già Nicola Matteucci aveva rilevato quasi quarantanni fa come questultima testuale ammissione ridimensionasse alquanto tutta la pretesa di avalutatività della metodologia weberiana. Il fatto è che, forse anche per ragioni di opportunità politica (non mettere a repentaglio lardito obiettivo di fare della socialdemocrazia il principale sostegno del proprio disegno nazionale), Weber era sempre stato piuttosto accorto nel tenere alquanto celata lidentità del demone (come lo definiva nella conferenza sulla Politica come professione / vocazione), cioè del valore politico ultimo che lo animava personalmente. Il demone di Weber: una definizione probabilmente davvero appropriata al suo personale sistema di valori, e la cui mancata esplicitazione negli scritti maggiori ha probabilmente costituito fra laltro una delle ragioni dellequivoco dibattito italiano degli anni Ottanta attorno a Parlamento e governo, in relazione ai progetti nostrani di riforma costituzionale (per i quali, allepoca, si riteneva comunque ancora utile ragionare sui classici anziché confezionare porcate). Quel demone è messo a nudo nei meno frequentati scritti politici di Weber sulla Grande guerra: lì è detto a chiare lettere che per lui il valore ultimo da perseguire nellazione politica era laffermazione della potenza nel mondo della propria cultura nazionale: non cè poi da stupirsi se negli scritti più noti sembra delinearsi non solo lindimostrabilità del fondamento dei valori sul che, per quel che vale, personalmente convengo ma perfino quella che può apparire la sostanziale inanità di qualunque sforzo argomentativo o persuasivo razionale intorno ai valori della politica. Anche di qui lopzione per la Führerdemokratie plebiscitaria, per la lotta fra uomini che incarnano idee-forza piuttosto che fra contrapposti sistemi di valori e contrapposti interessi. Non meno significativamente, anche negli scritti sulla Russia Weber affermava ripetutamente che preoccuparsi troppo delle libertà e dei diritti individuali come elementi rilevanti della lotta politica gli appariva ormai (nella Germania guglielmina!) come preoccuparsi del pane nero quando si ha fin troppo da mangiare.

Insomma: il problema centrale per Weber è bensì spiegarsi le ragioni dellunicità dellOccidente, ma il punto di vista fondamentale non è mai per lui quello delle libertà individuali, dei diritti umani e della democrazia liberale che per molti di noi costituiscono oggi il fulcro di quel che maggiormente caratterizza e merita di essere preservato dellidentità politica dellOccidente moderno (preservato, ben sintende, anche e soprattutto contro quel che vi si oppone dallinterno stesso dei nostri sistemi politici).

Meglio forse, allora, riferirsi alle contemporanee ricerche sul nesso fra protestantesimo e modernità politica condotte da Ernst Troeltsch, che, anche grazie al proprio diverso punto di vista valoriale, aveva pure più fortemente rimarcato il carattere contraddittorio e ambivalente del rapporto fra i primi riformatori e la nascita del pensiero politico moderno.

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Resta che, se esistono nella storia svolte e momenti che segnano o rivelano discontinuità forti, il Qui sto io di Lutero a Worms è stato uno di quei momenti e di quelle svolte, forse quello che ha maggiormente segnato e rivelato la nostra identità moderna di occidentali nonostante lapparente contraddizione delle polemiche contro il libero arbitrio, e nonostante che la stessa rumorosa passionalità (secondo la definizione di Gobetti) che gli faceva rifuggire lo spirito di conciliazione con Roma e proclamare la rottura, lo portasse poi ad esprimere con inaudita violenza anche contro gli ebrei gli orrendi pregiudizi comuni alla cristianità del suo tempo.

Quanto e più che di Erasmo e del suo spirito pacifista di conciliazione, la civiltà liberale è figlia di quella decisione di rottura, assunta in obbedienza radicale alla Parola di Dio, ma creando con ciò un precedente che sarà altrettanto decisivo per gli assertori più radicali della libertà, anche, di negare quella e ogni altra parola rivelata.

Giulio Ercolessi

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