Quando “la Presidente” del consiglio, ripeto, “la Presidente” Giorgia Meloni e molti altri esponenti della sua coalizione inneggiano come un valore assoluto alla “famiglia tradizionale” è bene approfondire di quale “levatura” trattasi.
Il 19 maggio 1975 con una sola astensione, quella del movimento sociale, o meglio il punto di riferimento di Giorgia Meloni il “buon” Giorgio Almirante, il parlamento Italiano approvò la legge 151 per la riforma del nuovo diritto di famiglia.
La riforma riconosce alla donna una condizione di completa parità con l’uomo all’interno della famiglia, e garantisce la tutela giuridica dei figli illegittimi, nati cioè al di fuori del matrimonio.
Inoltre la stessa legge stabilisce alle madri nubili, che hanno avuto figli senza essere sposate, di ricercare la paternità e quindi di mettere i padri dinnanzi alle loro responsabilità.
La precedente normativa risaliva al codice civile del 1942 ispirato al modello autoritario fascista, fondato su una rigida struttura gerarchica al cui vertice si trova il “pater familias” con la moglie in posizione subordinata.
È in questo contesto che si è affermato il modello tradizionale di famiglia costituito dalla famiglia patriarcale, l’obiettivo della riforma del 1975 è stato l’eliminazione delle disparità tra i coniugi, ad esempio, c’era la norma che dava la facoltà al marito di fissare, a proprio piacimento, la residenza familiare con l’obbligo della moglie di seguirlo ovunque.
Quindi, quando si inneggia alla “famiglia tradizionale” è bene esaminare il suo significato dalle origini, se invece si intende con “tradizionale” quella dei principi della chiesa cattolica allora è un mero ossimoro, tali esponenti politici sono nella vita privata, agli antipodi della stessa chiesa, ma in campagna elettorale viene “venduta” come fosse la loro.
Alessandro Giacomini, consigliere comunale e della comunità delle Giudicarie
Nessun commento