E-book

QUADERNO ANTICONCORDATARIO

Di www.critlib.it | 27.07.2021



«Parigi non vale una messa»

Benedetto Croce


QUADERNI DI CRITICA LIBERALE

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libera chiesa in libero stato?

valerio pocar

Con una nota formale la diplomazia dello stato Città del Vaticano ha chiesto allo stato Repubblica italiana modificazioni al testo del cosiddetto ddl Zan, già approvato dalla Camera e ora in fase di tormentata discussione al Senato. La richiesta e la sua motivazione ricalcano la posizione già assunta tempo fa dai vescovi italiani, facendo proprie, nel merito, esattamente le richieste e le motivazioni della destra più retriva di questo Paese. Questa volta il pretesto per la nota diplomatica formale è stato trovato nel testo del Concordato tra Repubblica e Città del Vaticano, là dove all’art. 2 comma 3 si dice che viene garantita «la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione … dei cittadini [cattolici]e delle loro associazioni ed organizzazioni». Ci rendiamo ben conto di quanto sia faticoso e anzi sorprendente, per il regime teocratico di uno stato retto da una monarchia assoluta, riuscire a immaginare che il presunto rischio sia reso fantasioso e anzi escluso dalle regole democratiche di un Paese straniero. Il pretesto è, semplicemente, ridicolo, perché l’art. 4 del ddl Zan ribadisce esplicitamente la suddetta garanzia, con una formulazione ridondante e inutile, poiché sarebbe bastato e basta l’art. 21 della Costituzione italiana, che il medesimo diritto garantisce a tutti i cittadini, di qualsivoglia fede o non credenza. Del resto, il ddl reca obiettivi ben chiari e del tutto differenti da quelli strumentalmente paventati dalla cauta diplomazia vaticana. Sul merito della questione non mette davvero conto di dilungarsi, ma la vicenda suggerisce alcune riflessioni.

Anzitutto, si tratta di una gaffe diplomatica, tanto goffa e poco credibile che persino un presidente del consiglio che nutre ricambiate simpatie per l’oltretevere non ha esitato a rammentare che la Repubblica italiana è uno stato laico. Non si è spinto, però, fino alla censura della malaccorta iniziativa vaticana, come sarebbe stato il caso. Si è trattato, infatti, di un incidente diplomatico, apparendo evidente il tentativo d’ingerenza che è stato riconosciuto come tale da tutti, compresi i movimenti cattolici di base, tranne che da coloro che hanno ritenuto di poterne trarre vantaggio. E tale è apparso allo stesso Segretario di stato vaticano, che, excusatio non petita, si è affrettato a precisare che l’intenzione della nota, che sarebbe dovuta restar segreta, non era quella di bloccare il ddl, ma di segnalare preoccupazioni in merito all’interpretazione di alcuni punti del testo, riconoscendo comunque la laicità dello Stato italiano e la sovranità del suo Parlamento. Peggio la pezza del buco e la gaffe resta. In casi simili, per regola, il ministro degli esteri convoca l’ambasciatore dello stato straniero e gli canta una ramanzina. Ma da noi i panni sporchi, nelle relazioni tra Stato e Chiesa, si lavano in famiglia, solo che la Città del Vaticano è a tutti gli effetti uno stato straniero, partorito, a suo tempo, dal patto tra il Papa e il duce del fascismo.

Va da sé che questo tentativo d’ingerenza non è una novità. Va anche da sé che i tentativi d’ingerenza sono stati a senso unico, perché la Repubblica italiana si è sempre ben guardata dal fare la minima critica, anche se potrebbe avere molto da ridire sulle scelte del Vaticano, a cominciare dal suo stesso ordinamento teocratico, autoritario e antidemocratico, negatore di diritti fondamentali riconosciuti a livello internazionale e anche dalla nostra Costituzione.

In secondo luogo, l’episodio è significativo, nel merito, dell’ambiguità delle posizioni «pastorali» della Chiesa cattolica e del papato stesso. La vicenda è stata letta, ancora una volta, come un episodio della guerra intestina che contrapporrebbe il Papa, moderno e aperturista, a certi settori della Curia vaticana, oscurantisti e retrogradi. Guerra intestina o sceneggiata per le comunicazioni di massa? o gioco delle parti? Abbondando in esternazioni ispirate alla fratellanza e alla misericordia il Papa non ha mai censurato le posizioni dottrinali tradizionali, per quanto poco siano misericordiose, anche sul tema delicato dell’identità di genere. La nota vaticana di cui stiamo parlando, insomma, appare ispirata da «preoccupazioni» che riflettono le posizioni dottrinali del Papa, il quale, del resto, pare che fosse al corrente (e come avrebbe potuto essere diversamente?) dell’iniziativa diplomatica. Come mai il Papa, monarca assoluto che ha mostrato di essere capace, quando si è trattato di affari, di intervenire con durezza e autorità, mettendo alla porta prelati fedifraghi o inaffidabili, tace sulla questione di cui ci occupiamo? Ho già avuto modo di dire che questo gioco delle parti mi ricorda il gioco di ruolo in certi film polizieschi americani tra il poliziotto buono e il poliziotto cattivo, miranti entrambi a estorcere la confessione del prevenuto. Mi ricorda anche il detto “mano di ferro in guanto di velluto”, ovverosia “bastone e carota”. Così, mentre loda con ammirazione il gesuita padre Martin, noto per l’apertura e l’azione a favore degli omosessuali, ricordando che «Dio è Padre di tutti e tutte», negli stessi giorni avalla una scortesia diplomatica che s’ingerisce, col risibile pretesto di un paventato rischio per la libertà di espressione dell’opinione, nelle scelte legislative di uno stato sovrano volte precisamente a condannare le discriminazioni di genere.

Inoltre, ma non meno importante, colpisce lo strumento usato e soprattutto il richiamo al Concordato. La norma concordataria richiamata non fa che ribadire, per i cittadini cattolici, un diritto costituzionale garantito a tutti i cittadini di questo Stato (così non era nel 1929 quando si volle assicurare un privilegio ai cattolici e alle loro gerarchie). Richiamare la regola concordataria in questa occasione lascia intendere che si voglia ribadire la natura speciale del rapporto tra i due Stati e il riguardo dovuto particolarmente a uno di loro. Pretesa non esplicitata, ma non per questo meno intollerabile.

Ho già avuto modo di dire, proprio anche su questa Rivista, che la soluzione della “questione romana” tramite il concordato clericofascista del 1929 rappresentò un’occasione perduta per entrambe le parti. Per lo Stato italiano quella di affermare la propria natura laica una volta per tutte, senza bisogno di ribadirla di fronte a ogni tentativo d’ingerenza clericale. Per la Chiesa quella di liberarsi della residua zavorra temporale per impegnarsi nella missione spirituale, che, a suo stesso dire, le sarebbe propria, con l’autorevolezza di un più credibile magistero, senza doversi barcamenare tra istanze anche troppo terrene e istanze spirituali. Però, pecunia, seppur sterco del diavolo, non olet. Il fatto, accertato da numerose indagini, che la maggioranza di coloro che pur si dichiarano praticanti, non riconosca più la Chiesa come fonte di magistero dovrebbe pur suggerire qualcosa.

Non sarebbe magari l’ora di abolire il Concordato, fonte di privilegi tanto ingiustificati quanto antistorici? Magari proprio su iniziativa della Chiesa?

 

nonmollare quindicinale post azionista | 089 | 05 luglio 2021 _______________________________________________________________________________________

nota

piccoli passi

enzo marzo

Diciamo la verità. La Nota vaticana ha stravinto. La Destra si è ringalluzzita riconfermando il suo sempiterno clericalismo di fondo. Ci sono state da parte delle autorità pubbliche delle dichiarazioni generiche di principio che non hanno giudicato né la forma, né l’opportunità della interferenza vaticana, né la sostanza dell’intervento sul disegno di legge Zan. Anche le riconferme del carattere laico del nostro Stato e della Costituzione sono sembrate il solito vuoto rituale pleonastico e retorico. Controproducenti perché hanno fatto notare la mancanza di quello che si sarebbe dovuto affermare, ovvero che la Nota era irricevibile. Ovviamente l’avventuriero Renzi – senza sorprenderci - si è al solito distinto, tra le forze di destra, come il principale sicario del disegno di legge Zan. Su cui, prima della Nota vaticana, si sarebbe potuto discutere con serenità e anche manifestando molte perplessità; ma, dopo la Nota, il significato di eventuali emendamenti è completamente mutato. E sanzionerà il rinvio sine die del disegno di legge.

Altrettanto carente è stato il dibattito sulla disfatta di Francesco. L’intervento a gamba tesa negli affari interni di un altro paese, questa volta, è stato non della Conferenza episcopale, ma del governo della chiesa, e quindi il Papa se ne è assunto piena responsabilità. Il suo silenzio gesuitico la dice lunga, ma la Nota cade come un macigno sulla “rivoluzionaria novità” del suo magistero.

L’unica annotazione positiva viene da un certo sussulto del mondo laico, sempre più indeciso e indebolito dalla retorica papale. Ma il mio parere personale è critico nei confronti delle iniziative (appelli vari) a favore della denuncia del Concordato. Addirittura, alcuni fautori hanno proposto di contarsi. Scendendo in campo, masochisticamente, sul terreno preferito dalla Chiesa cattolica. Dappertutto vediamo velleità, esibizionismi, utopismo, proprio in questi tempi bui che vedono in vantaggio numerico le forze clericali.

Credo che sia più opportuno scegliere una politica dei piccoli passi, mettendo di fronte le forze politiche alle parti più vergognose del Concordato e ai privilegi che il Vaticano ancora conserva andando contro la più generale libertà religiosa per tutte le confessioni. Per questo ricordiamo un appello recente che individua dei punti critici ben precisi che agli occhi dell’opinione pubblica di destra e di sinistra non possono non risultare indigeribili. Nonché il Comitato di scopo, appena nato, che si pone l’obiettivo di far saltare la geniale norma di stampo tremontiano che stabilisce la vergognosa redistribuzione della quota dell’inoptato. Violando la volontà dei cittadini, perché anche il “non scegliere” la destinazione dell’8 x mille nella dichiarazione dei redditi è una scelta che va rispettata.

 

nonmollare quindicinale post azionista | 089 | 05 luglio 2021 _______________________________________________________________________________________

irricevibile

raffaello morelli

1. [23 giugno 2021] Non è dato sapere quale tipo di conseguenze avrà in Italia la nota verbale conosciuta il 22 giugno (tramite un articolo sul “Corriere della Sera”) ma presentata cinque giorni prima all’ambasciata italiana dal Segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, monsignor Gallagher. Tuttavia una cosa va detta subito. Soprattutto visto che mercoledì 23 alla Camera c’è stato – come previsto prima di importanti incontri UE – un dibattito con il Presidente Draghi. E della nota non si è parlato, nonostante lui stesso avesse annunciato alla vigilia che avrebbe fatto un commento strutturato, qualora il tema gli fosse stato posto. Siccome nessun deputato lo ha posto.

La cosa da dire subito a scanso di equivoci che già si stanno profilando, è che la nota verbale di Gallagher costituisce un atto diplomatico di estrema gravità per l’Italia. Di fatti essa afferma che “alcuni contenuti della proposta legislativa in esame presso il Senato (ndr, il controverso disegno Zan) riducono la libertà garantita alla Chiesa cattolica dall’articolo 2, commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato“. Tali parole, in apparenza manifestano il giudizio del Vaticano sulla proposta (del tutto legittimo dal punto di vista delle istituzioni laiche), ma nella realtà hanno l’evidente pretesa di ritenere il Vaticano parte inaggirabile del processo legislativo italiano. La conferma viene non solo dalla lettura del testo, ma dal fatto che la CEI aveva già più volte manifestato il suo giudizio preoccupato sul ddl Zan, Dunque, non è un caso il passaggio da un organo come la CEI interno al dibattito culturale italiano, alle note verbali internazionali. Significa che il Vaticano intende tirare in ballo le norme concordatarie, ritenendo che esse determinino le decisioni dei Governi e delle Camere dell’Italia.

Pertanto la risposta italiana alla nota è un concetto solo: irricevibile (formulato nei termini degli usi diplomatici). Sotto questo profilo la prima dichiarazione corretta è stata quella del Presidente della Camera che ha detto ad Agorà su Rai3 “noi come Parlamento non accettiamo ingerenze. Il Parlamento è sovrano e tale rimane sempre”. Ma sarebbe stato meglio se il principio fosse stato ribadito dal titolare dei rapporti internazionali, il Ministro degli Esteri Di Maio (ad ora nelle nebbie). Nel pomeriggio del 23, al Senato, il Presidente del Consiglio Draghi ha compiuto un passo in più. Il giorno prima aveva fatto sì un commento corretto – “dovranno essere valutati gli aspetti segnalati da uno Stato con cui abbiamo rapporti diplomatici” – ma parziale, dato che aveva sorvolato sull’aspetto segnalato sopra, cioè l’inaccettabile pretesa vaticana che le norme concordatarie determinino le decisioni dell’Italia. Al Senato ha precisato “il nostro è uno Stato laico, non confessionale. Il Parlamento è libero di discutere e legiferare e il nostro ordinamento è in grado di dare tutte le garanzie verificare che le nostre leggi rispettino sempre i principi costituzionali e gli impegni internazionali, tra cui il Concordato con la Chiesa”. Molto meglio ma non del tutto sufficiente, perché non esprime il concetto decisivo. La nota è irricevibile.

Tra l’altro, se questo concetto di “irricevibilità” non sarà espresso, sarà compromessa l’autonomia del Senato nel decidere sul testo del ddl Zan approvato dalla Camera. È un testo che deriva da un giusto intento di convivenza civile e che adopera strumenti assai impositivi. Se non sarà espresso il concetto di “irricevibilità”, qualunque decisione del Senato sarebbe tacciata di essere frutto dell’ingerenza vaticana. Questo è un altro motivo che spinge ad essere subito chiari nel merito della questione istituzionalmente più rilevante. Le istituzioni della Repubblica sono laiche non solo a parole.

2. Due settimane dopo il commento Irricevibile fatto a caldo sulla nota verbale del Vaticano, la novità degli ultimissimi giorni è la quasi certezza che al Senato il ddl Zan non ha i voti per essere approvato nel medesimo testo giunto dalla Camera (Italia Viva vuol modificare due articoli). Quindi il ddl Zan tornerà a Montecitorio. Il che significa il naufragio della campagna per imporne l’approvazione a prescindere dai limiti del suo testo attuale. È una novità che aggrava il problema sorto nelle relazioni Italia Vaticano. Non perché il ddl Zan vada approvato così com’è a tutti i costi. Ma appunto perché il Senato prenderebbe una decisione mentre incombe la nota verbale del Vaticano.

Dopo che la notizia della nota verbale è divenuta pubblica, prima il Presidente della Camera ha detto «il Parlamento è sovrano» e poi il Presidente del Consiglio ha ribadito in Aula «il nostro è uno Stato laico, non confessionale». Dichiarazioni inequivoche, cui deve seguire un comportamento altrettanto inequivoco. Quello del Ministro degli Esteri che sancisca come per l’Italia quella nota verbale sia irricevibile. Il motivo evidente sta nella stessa argomentazione che essa adopera. Asserire «alcuni contenuti della proposta legislativa in esame presso il Senato riducono la libertà garantita alla Chiesa cattolica dall'articolo 2, commi 1 e 3 dell'accordo di revisione del Concordato», ha un solo significato: la pretesa vaticana che il Concordato sia parte inaggirabile del processo legislativo italiano e dunque che la Chiesa abbia titolo per intervenire nelle scelte del nostro paese. Ne è una conferma il fatto che la nota verbale del Vaticano viene dopo le ripetute contrarietà espresse legittimamente dalla CEI nell’ambito del dibattito culturale nazionale. Non essendo state sufficienti, il Vaticano è passato al diritto internazionale e al Concordato. E questa pretesa interpretativa del Concordato è inaccettabile per uno stato laico.

Non è una disquisizione formale. Se la dichiarazione di “irricevibilità” non arrivasse in tempo, la decisione del Senato innescherà un dibattito politico assai distorto. Nel caso si realizzi la novità sopra illustrata, gli sconfitti fautori di un testo immodificato, diranno che la maggioranza si è piegata alla volontà della Chiesa. E così depisteranno il dibattito sulla necessità di modificare un ddl Zan troppo impositivo, portandolo impropriamente sul tema della separazione stato religioni, di cui gli sconfitti non sono davvero sostenitori. Cosa analoga (seppure all’opposto) avverrebbe nel caso la novità sopra illustrata non fosse confermata dal voto. Perché allora gli sconfitti fautori del modificare il testo del ddl Zan diranno che la maggioranza ha rispolverato l’anticlericalismo anche a costo di violare rilevanti aspetti della libertà di pensiero. Di nuovo un modo distorto di affrontare il tema della separazione stato religioni, di cui le destre sconfitte non sono davvero sostenitrici. La laicità istituzionale deve impegnarsi per evitare polemiche strumentali causate dall’inerzia del governo in una materia delicatissima.

Il mondo liberale e laico si augura che il Ministro degli Esteri comunichi la “irricevibilità” della nota verbale prima della decisione del Senato. È l’unica strada che mette al riparo l’autonomia del Senato, rendendo così concrete le dichiarazioni di Fico e di Draghi e garantendo che, come si conviene ad uno stato laico, il dibattito e le decisioni vengano assunte senza ingerenze di organismi religiosi. Il Tevere non può restringersi, anzi va allargato, se si vogliono proficui rapporti tra l’Italia e il Vaticano.

 

nonmollare quindicinale post azionista | 089 | 05 luglio 2021 _______________________________________________________________________________________

giù le mani dall’inoptato

Il Comitato VIA LE MANI DALL’INOPTATO, nato lo scorso aprile, ha un’unica finalità: rimuovere dalla legislazione la clausola cosiddetta “INOPTATO”. Perché rimuoverla? Perché è congegnata come un raggiro ai cittadini. Vediamo come.

La clausola nasce dal fatto che ogni anno i contribuenti italiani possono versare l’otto per mille della propria imposta, alle dodici confessioni religiose che hanno stabilito un’intesa con lo Stato più a un tredicesimo soggetto, lo Stato per scopi di interesse sociale o di carattere umanitario. Tuttavia questa scelta la fanno appena più del 40% dei contribuenti. Quasi il 60% non opta. Appunto l’inoptato. A questo punto scatta il raggiro democratico. Infatti la Legge n. 222/1985 (art. 47, c. 3 ultimo periodo) stabilisce che le somme IRPEF dell’8xmille inoptato vanno ripartite tra i vari beneficiari 8×1000 in proporzione alle scelte che ciascuno ha ricevuto. Dunque il 60% dei cittadini che non opta – e perciò intende lasciare all’Erario la propria imposta – è obbligato senza volerlo a destinare il suo 8xmille ai tredici beneficiari. Vengono così raggirati più di 24 milioni di cittadini.

Tutto ciò sarebbe già grave dal punto di vista della trasparenza democratica. Ma non basta, il meccanismo di legge attivato costituisce anche un trucco finanziario. Perché distribuendo in proporzione l’inoptato, la Chiesa cattolica riscuote intorno a 700 milioni all’anno in più di quanto le spetta in base alle scelte fatte davvero a suo favore (e l’Erario, aggiungendo le altre confessioni, perde circa un miliardo l’anno).

Non è per caso che lo scopo del Comitato VIA LE MANI DALL’INOPTATO sia univoco. Infatti l’unicità dello scopo esprime la tipica consapevolezza laica della diversità dei cittadini, per cui essere favorevole all’abolizione di una riga della Legge n. 222/1985 (art. 47, c. 3 ultimo periodo) non implica essere a favore di altre questioni politico finanziarie. Il che ha una importante conseguenza generale. Far superare la pretesa delle concezioni totalitarie ed autoritarie di provvedere ad ogni aspetto della vita stabilendo in un testo sacro il modo giusto di pensare e di comportarsi. Le norme del convivere vengono decise attraverso il conflitto tra specifichi progetti circoscritti e contrapposti nel rispetto delle regole decise anch’esse dai conviventi. Per questo la laicità delle istituzioni è un grosso passo avanti del conoscere le cose del mondo, un po’ alla volta e nel tempo, in base ai risultati sperimentati del confronto tra i progetti avanzati, scelti di volta in volta e verificati successivamente.

Il nucleo del COMITATO VIA LE MANI DALL’INOPTATO è composto da tredici associazioni promotrici (ArciAtea, Campagne Liberali, Fondazione Bancale, Fondazione Critica Liberale, ItaliaLaica.it, Laicitalia, Laici.it , LibMov, Montesarchio LIb, Federazione Circoli Giustizia e Libertà, Circolo C.Rosselli Milano, Consulta Laica Napoli, Associazione Giordano Bruno Roma) e da venticinque portavoce (Massimo ALBERIZZI, Mauro ANTONETTI, Paolo BANCALE, Mario BOLLI, Antonio CAPUTO, Antonio COLANTUONI, Carla CORSETTI, Edoardo CROCI, Giulio ERCOLESSI, Alessandro GIACOMINI, Giacomo GRIPPA, Vittorio LUSSANA, Maria MANTELLO, Enzo MARZO, Riccardo MASTRORILLO, Raffaello MORELLI, Giancarlo NOBILI, Pietro PAGANINI, Michael PINTAURO, Valerio POCAR, Francesco PRIMICERI, Mirella SARTORI, Francesco SOMAINI, Carmela STURMANN, Ciro VERRATI).

Al precedente nucleo si stanno aggiungendo aderenti in tutta Italia. Oggi sono ABRUZZESE Alberto, Roma – ADDANTE Luca, Torino – DIONESALVI Davide, Crotone – GREGORI Mario, Udine – PALAZZI ARDUINI Fancesca, Fano (PU) – SIBILIO Raffaele, Napoli – BELTRAMINI Amelia, Pavia – CASTELLARI Marco, Roma – SANTONICOLA Luigi , Giffoni Sei Casali (SA) – CAMPEDELLI Angelo, Zevio (VR) – VIGATO Cathia, Venezia – COPPA Luca, Domodossola – PAVON Vittorio, Venezia – CICCONE Irene, Livorno – TURCHETTO Maria, Pisa – D’AMBROGI Filippo, Lecco – BELAIS Francesco, Livorno – BONI Andrea, Cagliari – GALOPPINI Lorenzo, Livorno – SCHIRONE Maria, Valenzano (BA) – LEONE Sante, Cassano delle Murge (BA) – NONNIS MARZANO Carlotta, Bari – VENEZIA LAICA associazione di associazioni, Venezia.

Il Comitato dispone di un proprio sito http://www.vialemanidallinoptato.it (che include già una consistente documentazione) e di una propria mail info@vialemanidallinoptato.it (per richiedere ulteriori informazioni). Sul sito si può trovare un bottone colorato con il quale si possono fare donazioni. Il Comitato opererà durante l’estate per estendere la propria rete di contatti in tutta la penisola.

r.m.

 

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il concordato: dopo 90 anni

un appello per tornare alla laicità dello stato

e tagliare i privilegi della chiesa

30.12.2018

La revisione del Concordato derivante dall’accordo Craxi-Casaroli del 1984 introdusse, almeno sulla carta, quattro importanti novità:

1) la religione cattolica non era più la religione di Stato;

2) il suo insegnamento nella scuola statale aveva carattere facoltativo

3) nelle questioni di diritto familiare lo Stato rivendicava una propria autonomia

4) il finanziamento diretto della chiesa da parte dello Stato (congrua) veniva sostituito dall'autofinanziamento da parte dei fedeli grazie al meccanismo dell’8per mille.

Le scelte politiche degli anni successivi – anche dello stesso governo Craxi - si mossero però in direzione opposta, riportando in essere i privilegi accordati nel 1929. Con queste conseguenze:

- La religione cattolica è rimasta “religione di Stato” nel sentire e soprattutto nei comportamenti della nostra classe politica (per non dire del “servizio pubblico radiotelevisivo”)

- Il suo insegnamento è tuttora di fatto “obbligatorio”, per la casualità delle alternative. Ed è scandaloso che lo stipendio dei suoi insegnanti sia a carico dello Stato e che essi entrino nei ruoli della scuola senza concorso, con l’impegno a trovar loro un’altra collocazione nel caso la Chiesa - che li designa - ritiri loro la sua legittimazione

- Le gerarchie ecclesiastiche continuano ad invadere la sfera della politica italiana e non solo nelle questioni di diritto familiare

- L’abolizione della congrua è stata più che compensata dal meccanismo dell’otto per mille e dai criteri arbitrari con cui viene eseguita la ripartizione della quota “non destinata” dai contribuenti (circa la metà del totale).

A 90 anni dalla firma del Concordato, chiediamo tre provvedimenti urgenti per dare almeno attuazione alla revisione del 1984:

- Abolizione dell’ora di religione.

- Revisione degli attuali criteri per la ripartizione della quota (circa il 50 %) dell’8 per mille “non destinato”, che privilegiano nettamente la Chiesa Cattolica.

- Revisione delle norme relative all’IMU sui beni immobili della Chiesa e azione determinata per dare attuazione alla recente sentenza della Corte Europea, recuperando nella misura del possibile l’ICI non pagata in passato (4-5 miliardi di euro).

Tre provvedimenti “facili” in attesa di trovare le soluzioni giuridiche e le condizioni politiche per rimettere profondamente in discussione il Concordato, così da ridurre l’ingerenza del Vaticano nella politica italiana, volta ad impedire la conquista di nuovi diritti civili. Fermo restando il giudizio altamente positivo sulla azione di tante associazioni cattoliche di volontariato a favore dei diseredati.

 

Hanno firmato fino ad oggi, 29 dicembre 2018

Alberto Abruzzese, sociologo

Johannes Agterberg, studioso di temi etici

Mario Artali, segretario Circolo De Amicis, Milano

Sebastiano Bagnara, docente universitario, presidente bsd strategy by design

Andrea Ballabeni, ricercatore presso Dept. Health Policy and Management Harvard T.H. Chan School of Public Health Boston (USA)

Barbara Barboni, ordinario di fisiologia, Università di Teramo

Umberto Barlassina, consulente fiscale

Paolo Berardinelli, ordinario di anatomia, Università di Teramo

Rocco Berardo, avvocato, già consigliere regionale Lazio

Paolo Berdini, urbanista

Stefania Bettinelli, Responsabile Relazioni Esterne, Centro di Medicina Rigenerativa “Stefano Ferrari”, Modena

Federico Binda, Ricercatore, Università di Regensburg (Ratisbona)

Andrea Boggio, Docente universitario Bryant University (USA)

Vittoria Brambilla, Ricercatrice di Botanica Generale, Università degli Studi di Milano

Marco Cappato, tesoriere Associazione Luca Coscioni

Alessandra Carini, giornalista

Vittorio Ceradini, architetto

Franco Chiarenza, già vice presidente della Fondazione Luigi Einaudi, Roma

Massimo Clara, avvocato

Massimo Coccia, avvocato e docente universitario

Gilberto Corbellini, professore di bioetica e storia della medicina, “La Sapienza” Roma

Tonina Cordedda, Kings College di Londra, War Studies Department

Giulio Cossu, Professore di Medicina Rigenerativa Università di Manchester

Andrea Costa, ambientalista e Presidente del Comitato "Roma150"

Antonio D’Annunzio, dirigente di banca

Michele De Luca, Centro di Medicina Rigenerativa “Stefano Ferrari” Università di Modena

Nico Di Florio, avvocato

Francesco Di Paolo, avvocato

Vittorio Emiliani, giornalista e scrittore

Valentina Erasmo, dottoranda in filosofia

Dario Faggioni, consulente aziendale

Gianni Ferrara, costituzionalista

Enzo Fimiani, storico

Marcello Flores, storico

Paolo Franchi, giornalista

Franco Gallo, già Presidente Corte Costituzionale

Guido Frosina, ricercatore in neuro-oncologia

Anna Maria Fusella, insegnate liceale di lingue

Filomena Gallo, avvocato, segretario Associazione Luca Coscioni

Aldo Giovannelli, dirigente di azienda

Alberto Giuliani, giornalista

Franco Ippolito Presidente Fondazione Lelio e Lisli Basso- Onlus

Gian Piero Jacobelli, giornalista, saggista e docente universitario

Maria Rosaria La Morgia, giornalista RAI

Pino Lo Mastro, Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (CILD)

Andrea Lorusso Caputi, già Direttore Produzione RAI

Maria Immacolata Macioti, sociologa, già ordinaria alla Università "La Sapienza"

Maria Mantello, Presidente Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno"

Enzo Marzo, Presidente Fondazione Critica Liberale

Nicola Mattoscio, Presidente Fondazione Brigata Maiella

Desideria Mini, biologo molecolare

Leonardo Monaco, segretario Associazione Radicale Certi Diritti

Luigi Montevecchi, medico, specialista in ostetricia e ginecologia

Adele Orioli, segretario UAAR

Mirella Parachini, ginecologa

Giuseppe Pennisi, economista

Marco Perduca, già Senatore Radicale, coordinatore di Science for Democracy

Gianna Radiconcini, giornalista

Francesca Re, avvocato

Mario Riccio, anestesista, medico di Piergiorgio Welby

Vittorio Roidi, giornalista

Eddo Rugini, professore di biotecnologie agrarie

Giancarlo Santalmassi, giornalista

Chiara Saraceno, honorary fellow al Collegio Carlo Alberto, Torino

Mirella Sartori, coordinatrice Associazione Italialaica

Romano Scozzafava, già professore ordinario di Calcolo delle probabilità presso Università "La Sapienza"

Mario Setta, insegnante liceale di storia e filosofia, prete sospeso “a divinis”

Guido Silvestri, Professore e Direttore di Dipartimento Emory University, Atlanta

Giulia Simi, docente di algebra dipartimento di ingegneria dell'informazione e scienze matematiche università di Siena

Massimo Teodori, storico

Fausto Maria Tortora, Vicepresidente della Fondazione Lelio e Lisli Basso

Carlo Troilo, giornalista

Francesca Troilo, avvocato

Claudia Troilo, antropologa

Gaetano Trotta, magistrato

Mina Welby, copresidente Associazione Luca Coscioni

Antonia Sani, Comitato nazionale scuola e costituzione

 

nonmollare quindicinale post azionista | 089 | 05 luglio 2021 _______________________________________________________________________________________

rivedere il concordato

tre proposte

carlo troilo

Anche quest’anno l’anniversario del Concordato – pur essendo particolarmente importante perché è il 90esimo – rischiava di passare pressoché inosservato: un Concordato che andrebbe abrogato o quanto meno profondamente modificato, come in parte era avvenuto con la revisione Craxi-Casaroli: invano, perché lo stesso governo Craxi – ed ancor più i governi successivi – hanno di fatto annullato, con una serie di leggi pro-Vaticano, i progressi fatti con quella revisione. Per questo, mi sono fatto promotore di un “appello” – firmato fino ad oggi da 150 esponenti della cultura o militanti per i diritti civili – in cui si chiedono tre cose:

1. Abolizione dell’ora di religione;

2. Revisione degli attuali criteri per la ripartizione della quota (circa il 50%) dell’8 per mille “non destinato”, che privilegiano nettamente la Chiesa Cattolica;

3. Revisione delle norme relative all’Imu sui beni immobili della Chiesa e azione determinata per dare attuazione alla recente sentenza della Corte europea, recuperando nella misura del possibile l’Ici non pagata in passato (4-5 miliardi di euro).

«Tre provvedimenti ‘facili’ – conclude l’appello – in attesa di trovare le soluzioni giuridiche e le condizioni politiche per rimettere profondamente in discussione il Concordato, così da ridurre l’ingerenza del Vaticano nella politica italiana, volta a impedire la conquista di nuovi diritti civili». Per aprire il discorso sulla necessità di rimettere mano al Concordato, penso sia più utile ricordare in breve alcuni dei giudizi negativi sul Concordato e sullo stato dei rapporti Stato italiano – Chiesa Cattolica espressi da personaggi illustri fin dalla firma degli storici Patti Lateranensi.

Alcide De Gasperi: «Il pericolo è nella politica concordataria. Ne verrà una compromissione della Chiesa come in Spagna con de Rivera, o peggio! Io spero che le esperienze di Pio IX col liberalismo freneranno al giusto certi entusiasmi di fronte al fascismo, in modo che il popolo distingua fra cattolicesimo e fascismo».

Benedetto Croce: «La ragione che ci vieta di approvare questo disegno di legge non è nell’idea della Conciliazione, ma unicamente nel modo in cui è stata attuata, nelle particolari convenzioni che l’hanno accompagnata, e che formano parte del disegno di legge».

Giovanni Gentile: «La verità è che la famosa Conciliazione, tanto vagheggiata da Cavour e da Crispi e dopo, è un’utopia; e se come notava Manzoni, ci sono utopie belle e utopie brutte, questa della conciliazione non è da mettersi tra le prime».

Alessandro Galante Garrone: «La costrizione di studenti, ragazzi e anche bambini, i quali non seguono, i quali non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica, e che vengono confinati, imprigionati direi, nelle ore in cui tale lezione viene impartita, ebbene tale costrizione in classe, a scuola, è per me una soperchieria, una violazione vera e propria del principio di libertà e laicità».

Ernesto Rossi: «Sono contrario al Concordato perché il Vaticano è il più pericoloso centro della reazione mondiale».

Infine, ricordo un principio molto importante affermato nell’incipit dell’articolo 7 della Costituzione, che “recepisce” il Concordato: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani». Questo – ha scritto Sergio Romano nel settembre del 2010 – «significa che nessuno dei due ha il diritto d’interferire nei meccanismi istituzionali dell’altro.

Può affermare e argomentare pubblicamente i propri principi e valori, ma non può entrare nella stanza dei bottoni e scegliere il manovratore che più gli conviene».

E lo stesso Romano, rispondendo sul “Corriere della Sera” a una mia lettera, era ancora più esplicito: «L’Italia – scriveva – non è soltanto un Paese cattolico; è anche un Paese ‘clericale’, dove il

clero può in molti casi interloquire con le istituzioni su un piede di parità. L’Italia non è uno Stato laico; è uno Stato concordatario, dove la Chiesa di Roma è in molte circostanze una sorta di condomino».

Il quesito che pongo è il seguente: viste le continue e pesanti interferenze del Vaticano negli affari italiani, l’articolo 7 della Costituzione non consentirebbe la denuncia unilaterale del Concordato?

[il fatto quotidiano - 2 febbraio 2019]

 

nonmollare quindicinale post azionista | 089 | 05 luglio 2021 _______________________________________________________________________________________

il concordato va rivisto soprattutto riguardo i soldi

marco politi

Nel vortice degli avvenimenti nazionali e internazionali, il 90esimo anniversario del Concordato è rimasto giustamente in seconda linea. Ormai è un evento interessante solo per la ricostruzione storica e semmai per la riflessione che chi aspira al governo dell’Italia deve in un modo o nell’altro trovare un equilibrio, se non un compromesso, con il Vaticano. Almeno per quanto ha riguardato il Novecento: si trattasse di un regime dittatoriale come il fascismo o del regime democratico nato dopo la Liberazione.

Ma quest’anno è anche la 35esima ricorrenza della riforma concordataria attuata a suo tempo dal governo Craxi e questo aspetto tocca l’attualità, perché riguarda l’organizzazione dei rapporti tra Stato e Chiesa nell’odierna società italiana. Se n’è occupato sul versante laico un convegno, coordinato da Carlo Troilo e promosso dall’associazione Luca Coscioni, dalla fondazione Critica liberale e dall’Unione atei, agnostici, razionalisti. E sul versante cattolico, un lungo documento di “Noi siamo Chiesa”.

Di particolare interesse un appello lanciato da Troilo e sostenuto da un nutrito gruppo di firme, che propugna l’adozione di “tre provvedimenti urgenti” per riformare la revisione del 1984. I tre cambiamenti invocati riguardano:

1. abolizione dell’ora di religione;

2. revisione dei criteri di ripartizione dell’8 per mille;

3. revisione delle norme sull’Imu sui beni immobili ecclesiastici e recupero delle somme Ici non riscosse.

Le proposte sono interessanti perché possono essere affrontate subito. Su Ici e Imu c’è poco da aggiungere: uno Stato serio riscuote con determinazione il dovuto, a prescindere se il governo sia di destra o di sinistra. Anzi, nel mondo anglosassone sono i governi di destra i più inflessibili nel proclamare il rispetto di “legge e ordine”.

Sull’ora di religione vale la pena riflettere. Quanto più l’Italia diventa multiculturale e multireligiosa, tanto più tenderà a emergere l’esigenza che la scuola sia aperta all’offerta educativa delle diverse religioni (si tratti dei musulmani o degli ebrei, dei protestanti o dei sikh). Naturalmente senza oneri per lo Stato trattandosi di un’offerta aggiuntiva, dettata dal bisogno strettamente particolare degli alunni (o delle loro famiglie). Semmai proprio la crescita della società civile e l’importanza della convivenza tra i diversi tipi di credo e di convinzioni filosofiche diverse rende utile una proposta rilanciata da “Noi siamo Chiesa”: l’istituzione di un insegnamento di storia delle religioni (poiché l’ignoranza può solo produrre barbarie politica e civile).

Ma il capitolo più interessante riguarda i soldi. Ed è giusto e urgente affrontarlo. L’attuale sistema dell’8 per mille, che non conta le preferenze effettivamente espresse dai cittadini per destinare una parte delle tasse a una religione, è irrazionale e iniquo. Ripartire i “voti non espressi” – quasi si trattasse di seggi parlamentari da suddividere proporzionalmente – è fuori di ogni logica. Lo Stato italiano si trova in una grave crisi economica. I soldi non destinati altrove per precisa indicazione del cittadino devono restare nel bilancio nazionale per bisogni primari oggi forzosamente non tutelati in maniera adeguata: sanità, istruzione, trasporti, infrastrutture. Perciò il sistema va cambiato. E rapidamente.

C’è però un’altra innovazione che va introdotta in Italia e che da decenni è in corso, ad esempio, in Germania. Qualsiasi istituzione che riceve finanziamenti pubblici deve avere bilanci pubblici. In altre parole, se la Chiesa italiana (le diocesi in primo luogo) sono destinatarie di finanziamenti pubblici statali, regionali o locali, possono incassarli solamente se avranno pubblicato la loro situazione patrimoniale completa: beni mobili e immobili. Sarebbe un enorme contributo alla chiarezza e anche a quella “purificazione” dei comportamenti che papa Francesco chiede alle gerarchie ecclesiastiche, al clero e alle organizzazioni della Chiesa, in cui si maneggiano soldi e proprietà.

C’è infine un’altra riforma, che non costa niente e che andrebbe introdotta immediatamente come suggerisce “Noi siamo Chiesa”. L’obbligo di denuncia da parte di qualsiasi organizzazione ecclesiastica di crimini di pedofilia o di ogni altro tipo di abusi sessuali. L’obbligo esiste già in nazioni democratiche come la Francia o è stato sancito ufficialmente da conferenze episcopali del mondo occidentale.

La privacy non c’entra. E non c’entra nemmeno il segreto confessionale (che vale solo per il momento della confessione). Qui si parla di crimini, di cui un vescovo o un altro responsabile ecclesiastico viene a conoscenza per denuncia della vittima o per testimonianze fondate. Per secoli la prassi è stata quella dell’insabbiamento. La situazione è diventata ormai insostenibile. E mentre la Chiesa è avviata a un lento (molto lento) processo di riforma interna, lo Stato ha l’obbligo di dettare la sua legge a protezione dei minori.

[“Il fatto quotidiano” 11 febbraio 2019]

 

nonmollare quindicinale post azionista | 089 | 05 luglio 2021 _______________________________________________________________________________________

lo spaccio delle idee

il concordato in costituente

benedetto croce

Martedì 11 marzo 1947

Presiede: Umberto Terracini

PRESIDENTE: È iscritto a parlare l’onorevole Croce. Ne ha facoltà.

CROCE. Dopo l’ampia discussione generale di questo disegno di Costituzione, dopo la critica di cui è stato oggetto - nella quale si direbbe che le censure hanno soverchiato i consensi - dopo che si è udita la parola di tanti esperti giuristi, permetterete a me che quando tento di sottrarmi al nome impopolare di filosofo mi rifugio in quello di letterato, di osservare che forse una delle ragioni per cui l’opera non è felicemente riuscita proviene dall’essere stata scritta da più persone in concorso. Né un libro, né una pagina si compone se non da una singola mente che sola compie la sintesi necessaria e, avvertendo e schivando anche le più piccole dissonanze, giunge alla scrupolosa logicità e all’armonia delle parti nell’unità. Veramente gli autori questa volta sono stati troppi; ma fossero stati, invece di 75, dieci, cinque o tre, sempre avrebbero dovuto, naturalmente, dopo eseguito il loro lavoro specifico e fissate le conclusioni a cui erano pervenuti, dare mandato a uno solo di loro di rimediarle e formularle, il quale poi le avrebbe ripresentate agli altri e, raccolte le loro osservazioni ed obiezioni, rinnovato tante volte quanto bisognava il suo atto sintetico, correggendo le incoerenze e contraddizioni che gli fossero per caso sfuggite e aggiungendo parti integrative, e tutto ciò sempre sotto la sua responsabilità intellettuale, col suo diretto riesame e con la sua interiore approvazione e soddisfazione personale. Una scrittura diversamente condotta, per valenti che siano i suoi molti e molteplici autori, lascia più o meno scontento ciascuno di essi; laddove condotta a quel modo, ottiene il loro consenso, come ammiriamo e facciamo nostra una bella poesia senza essere intervenuti a scriverla. Tutto ciò si potrà collettivizzare o sognar di collettivizzare, ma non certamente l’arte dello scrivere. In effetto, dello Statuto albertino del Regno di Sardegna lo scrittore fu il giurista Des Ambrois, come la relazione ricorda, e di quello napoletano dello stesso anno l’avvocato il filosofo Bozzelli; e così sempre che si sia fatta o si voglia fare una cosa organica, perché in questo riguardo non v’è luogo a distinguere tra Statuto concesso e Statuto che il popolo chiede e approva.

Ma a questa prima cagione della mancanza di coerenza e di armonia del presente disegno si è aggiunta un’altra ben più grave: che i molti i suoi autori non solo non potevano portarvi un'unica mente di scrittore, ma non vi perseguivano un medesimo fine pratico, perché ai tre partiti che ora tengono Governo, non già in una benefica concordia discors, ma in una mirabile concordia di parole e discordia di fatti, ha corrisposto una commissione di studi e di proposte della stessa disposizione di animo, nella quale ciascuno di quei partiti ha tirato l’acqua al suo mulino e tutti hanno fatto come nella classica novella spagnola del cieco e del ragazzo che gli serve da guida e compagno, della quale qui leggerei ad ammonimento qualche tratto se non temessi la giustificata accusa di troppa frivolezza o distrazione letteraria. Da tale procedere è noto quel che l’onorevole Relatore chiama eufemisticamente “carattere intermedio” della proposta o “diversità di accento”, ossia i ben trasparenti negoziati accaduti tra i rappresentanti dei partiti che hanno messo capo a un reciproco concedere ed ottenere, appagando alla meglio o alla peggio le richieste di ciascuno, ma giustificando le richieste oggettive dell’opera che si doveva eseguire. La quale opera era semplicemente e severamente questa: di dare al popolo italiano un complesso di norme giuridiche che garantissero a tutti i cittadini, di qualsiasi opinione politica, categoria economica e condizione sociale, la sicurezza del diritto e l’esercizio della libertà, la quale porta con sé come logica sua conseguenza (e nobilmente ce lo ha rammentato l’onorevole Orlando), con la crescente civiltà la giustizia sociale che le si lega.

Un esempio, e insieme la diretta prova, del metodo tenuto è (e sebbene già altri parecchi ne abbiano altamente parlato, qui non posso tacerne neppure io) nella proposta di includere nella Costituzione i Patti lateranensi e l'impegno contro una possibile legge del divorzio. E che cosa c'è di comune tra una Costituzione statale e un trattato tra Stato e Stato, e come mai a questo trattato in sede di Costituzione si può aggiungere l'irrevocabilità, cioè l'obbligo di non mai denunciarlo o (che vale lo stesso) di modificarlo solo con l'accordo dell'altra parte, mentre l'una delle due, cioè l'altro Stato, non interviene e non può intervenire come contraente in quest'atto interno e quell'obbligo resta unilaterale, ossia appartiene a uno di quei monologhi che, come argutamente è stato osservato, nel testo presente si alternano coi dialoghi.

Parlai io solo in Senato, nel 1929, contro i Patti lateranensi; ma anche allora dichiarai nettamente che non combattevo l'idea delle conciliazioni tra Stato e Chiesa, desiderata e più volte tentata dai nostri uomini di Stato liberali, perché la mia ripugnanza e opposizione si riferiva a quel caso particolare di conciliazione effettuato non con una Italia libera, ma con un Italia serva e per mezzo dell'uomo che l'aveva asservita e che, fuori di ogni spirito di religione come di pace, compieva quell'atto per trarne nuovo prestigio e rafforzare la sua tirannia. (Vivissimi applausi). Ma nelle presenti terribili difficoltà, nell'affannosa problematica di tutta la vita italiana, nessuno e neppure io penso a riaprire quella questione, né penso ad agitare l'altra del divorzio che non attecchì le altre volte in cui fu proposta, sicché si direbbe che il costume italiano non ne senta il bisogno e la convenienza, e d'altronde l'indissolubilità del matrimonio sta nel Codice civile. Si dirà che la strana inclusione nella Costituzione vuol essere una assicurazione verso l'avvenire; ma quando mai parole come quelle legano l'avvenire? Lo legano così poco quanto il famoso biglietto di impegno che Ninon de Lenclos fece a Le Chastre allorché partì per la guerra. E se mi consente l'onorevole Togliatti che più volte mi ha fatto segno dei suoi motti satirici, che lo ricambi col semplice motto scherzoso, io quasi sospetto che la parte di Ninon De Lenclos abbia in mente di farla questa volta lui coi comunisti, che un giorno sperano di poter dire ai loro colleghi democristiani, i quali invano punteranno il dito su un articolo qualsiasi della Costituzione da loro consentito: «Oh, le bon billet qu'a là Le Chastre!» E fin da ora si direbbe che egli abbia l'occhio a una particciuola di uscita, perché ammette l'indissolubilità del matrimonio fino a quando una nuova anima civile non si sarà formata in Italia; e dipende evidentemente da lui di accelerare questa formazione o di annunziare che è avvenuta; e allora poveri Patti lateranensi, povera indissolubilità matrimoniale e povera Costituzione! Dunque, se quella inclusione, che è uno stridente errore logico e uno scandalo giuridico, è troppo fragile o illusorio riparo verso l'avvenire, perché offendere il senso giuridico che è stato sempre così alto in Italia e che solo il fascismo ha osato calpestare?

Simili compromessi, sterili, o fecondi solo di pericoli e concetti vaghi o contraddittori, abbondano, come si è detto, nel disegno di Costituzione, e saranno opportunamente rilevati e discussi, quando si passerà all’esame dei titoli e degli articoli. Ma un altro di essi voglio qui accennare di volo, che sta a cuore a molti tra noi, di vari e diversi opposti partiti, liberali e socialisti o comunisti, dall’onorevole Nitti agli onorevoli Nenni e Togliatti: la tendenza a istituire le regioni, a moltiplicarne il numero ed a armarle di poteri legislativi e di altri di varia sorte. L’idea delle regioni come organismi amministrativi apparve già nei primi anni dell’’unità, con la quale erano state superate le concezioni federalistiche che non avevano avuto mai molto vigore in Italia, vagheggiate da solitari o da piccoli gruppi, o fugate dalla fulgida idea dell’unità che Giuseppe Mazzini accolse dal pensiero di Niccolò Machiavelli, dall’anelito secolare dell’Italia e dai concetti dei nostri patriotti delle repubbliche suscitate dalla Rivoluzione francese, tra i quali tenne uno dei primi posti un politico meridionale, dal Mazzini in gioventù studiato, Vincenzo Cuoco. Ma ora, dopo la parentesi fascistica e la guerra sciagurata al seguito della quale vecchi malanni si risvegliano, come in un organismo che ha sofferto una grave malattia, contrasti di nord e di sud, di Italia insulare e Italia continentale, pretese e gelosie regionali e richieste di autonomia, si sono fatti sentire, con gran dolore di chi, come noi, crede che il solo bene che ci resti intatto degli acquisti del Risorgimento sia l’unità statale che dobbiamo mantenere saldissima se anche nel presente non ci dia altro conforto (ed è pure un conforto) che di soffrire in comune le comuni sventure. (Vivi applausi).

So bene che certe transazioni e concessioni di autonomia sono state introdotte e che, al giudizio o alla rassegnazione di molti, questo era inevitabile per stornare il peggio; ma il favoreggiamento e l’istigazione al regionalismo, avviamento che ora si è preso verso un vertiginoso sconvolgimento del nostro ordinamento statale amministrativo, andando incontro all’ignoto con complicate ed inisperimentate istituzioni regionali, è pauroso. Sembra che tutto si debba rifare a nuovo, che tutto sia da mutare o da distruggere della precedente Costituzione, alla quale si attribuisce la colpa di aver aperto la via al fascismo; laddove il vero è che la via fu aperta dall’inosservanza e violazione della Costituzione, che non era nemmeno più “octroyée”,, concessa da un re, perché sanzionata poi dai plebisciti. Lo Statuto del 1848 ha regolato e reso possibile lo splendido avanzamento dell’Italia in ogni campo di operosità per oltre settant’anni, e, non rigido come questo nuovo che ci viene proposto - di quella rigidezza che improvvisamente scoppia o invita a mandarla in pezzi - ma flessibile, consentì a grado a grado, col modificarsi dei pensierini, degli animi e dei costumi, il diritto di sciopero agli operai e l’allargamento del suffragio, fino al suffragio universale, tutte cose che abbiamo trovate già fatte e preparate per la nostra ulteriore costruzione, quando, abbattuto il fascismo, abbiamo riavuto il nostro vecchio statuto. Si ode ora spesso faziosamente ingiuriare gli avversari politici col nome di fascisti; ma io ritrovo l’effettivo fascismo, tra gli altri cattivi segni, in questa imitazione del dispregio e del vituperio che i fascisti versarono sull’Italia quale fu dal 1848 al 1922. Di quell’età io mi sento figlio; nella benefica, nella santa sua libertà ho potuto educarmi e imparare; e mi si perdoni questa disgressione, perché è dovere, io credo, che i figli difendano l’opera e l’onore dei padri. (Applausi).

Ma io odo sussurrare da più di uno che la discussione che ora si fa nell’Assemblea Costituente è piuttosto figurativa che effettiva, perché i grossi partiti hanno, come che sia, transatto tra loro e si sono accordati attraverso i loro rappresentanti nella commissione di studio e di proposte. Avremo dunque, anche all’interno una sorta di Diktat come quello che tanto ci offende e ci ribella; impostoci dalle tre potenze nel cosiddetto trattato di pace, al quale l’Italia cobelligerante non ha partecipato e non vi ha veduto accolta nessuna delle richieste necessarie alla sua vita? Ma quel Diktat, venuto dal di fuori, se ci offende e ci danneggia, pure unisce tutti noi italiani nel proposito di scuoterlo da noi con tutte le forze del nostro pensiero e della nostra volontà, con tutte le virtù del nostro lavoro, col valerci delle occasioni favorevoli che non potranno non presentarsi nel mutevole corso della Storia; ma questo, invece, al quale ci piegheremmo oggi nel governo delle nostre cose interne, essendo opera e colpa nostra, ci disunirebbe o ci corromperebbe; e perciò non è da sopportare e bisogna provvedere affinché non eserciti la sua insidiosa prepotenza. In qual modo? si dirà. Il modo c’è e dipende da noi, né sta solo nel fatto che, oltre i grossi partiti ci sono gli altri, numericamente forse ma non idealmente inferiori, sebbene anche e soprattutto in ciò che i partiti sono utili strumenti di azione per certi fini contingenti e non sono il fine universale, non sono la legge del bene alla quale solamente si deve obbedire, perché come Montesquieu diceva di se stesso, egli prima che francese si sentiva europeo e prima che europeo si sentiva uomo.

La partitomania, che ingenuamente si esprime nella formula che fu già del fascismo ed è ora la tromba (ahi quanto diversa) che il tassesco Rinaldo “udia dall’Oriente”, nella formula verbalmente assurda del “partito unico”, vorrebbe invertire questa scala di valori e porre lo strumento di sopra allo spirito umano che deve adoprarlo e collocare ciò che è ultimo al posto di ciò che è primo. Contro cotesta distorsione della vera gerarchia bisogna stare in guardia e ad essa opporsi in modo assoluto e radicale. Ciascuno di noi si ritiri nella sua profonda coscienza e procuri di non prepararsi, col suo voto poco meditato, un pungente e vergognoso rimorso. Io vorrei chiudere questo mio discorso, con licenza degli amici democristiani dei quali non intendo usurpare le parti, raccogliendo tutti quanti qui siamo a intonare le parole dell’inno sublime:

Veni, creator spiritus,

Mentes tuorum visita;

Accende lumen sensibus,

Infunde amorem cordibus!”.

Soprattutto a questi: ai cuori.

(Vivissimi applausi. - Moltissime congratulazioni).

 

nonmollare quindicinale post azionista | 089 | 05 luglio 2021 _______________________________________________________________________________________

 

RIPROPONIAMO AI NOSTRI LETTORI

STATO E CHIESE

Il potere clericale in Italia dopo il “nuovo”

Concordato del 1984 tra Craxi e Wojtyla

A cura di

Mario Alighiero Manacorda e Marcello Vigli

(per la parte Il nuovo Concordato)

Gianni Long

(per la parte Le intese con le altre confessioni)

Edizioni Millelire 1995

SCARICABILE GRATUITAMENTE QUI:

Stato e Chiese

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